Ugo Morelli, Mente e paesaggio. Una teoria della vivibilità, Bollati Boringhieri 2011, pp. 177, € 16

La riflessione sul paesaggio sta registrando, in questi ultimi anni un crescendo di interesse da parte di studiosi, amministratori, pianificatori del territorio. Finalmente ci si sta accorgendo che il tema del paesaggio non è una esercitazione intellettuale per “anime belle”, un orpello riconducibile a categorie estetizzanti tardoromantiche. Per tanto tempo, in Italia soprattutto, è stato scavato un solco profondo fra ambiente e paesaggio, fra natura e cultura. La ricerca di ambienti incontaminati in contrapposizione a una domesticità degradata dalla speculazione edilizia, dal cattivo gusto, dal disordine urbanistico, ha finito per sminuire il ruolo dell’uomo nella veste di attore-costruttore di paesaggi. Una imperdonabile ingenuità semplificatoria ha fatto credere che il bello fosse opera esclusiva della natura e il brutto fosse la conseguenza dell’ingerenza dell’uomo sull’ambiente. La tendenza dell’uomo a reificare e naturalizzare anche quanto è prodotto dalla sua stessa attività socioculturale ha finito per rubricare il paesaggio nell’orizzonte dell’ovvio, di ciò che è automaticamente scontato. L’autore del volume Ugo Morelli, che di questi temi si occupa da tempo nell’ambito della Scuola per il governo del paesaggio istituita dalla Provincia di Trento, mette a disposizione le proprie competenze di studioso dall’ampio spettro disciplinare. Si tratta di una rivisitazione rigorosa aperta ai contributi più aggiornati delle scienze umane e sociali, dalle discipline psicologiche alle neuroscienze alla semiologia, in cui l’Autore si prefigge lo scopo di pervenire ad una radicale bonifica epistemologica di categorie interpretative e concetti impiegati sempre più diffusamente in maniera acritica. La formazione psicologica di Morelli privilegia il costante richiamo alla dimensione del mentale come luogo di elaborazione dei vissuti e come luogo privilegiato nella costruzione di relazioni fra interno ed esterno, fra coscienza e mondo. Attraverso le sue pagine si colgono segni evidenti di frequentazioni teoriche che rimandano alla fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty a proposito della costruzione dei significati del paesaggio e della centralità dell’approccio relazionale. Anche la lezione heideggeriana intorno al rapporto fra il costruire, l’abitare, il pensare affiora tra le pieghe del testo. Severa è, soprattutto, la critica nei confronti di un certo pragmatismo contemporaneo che ha paura del pensiero riflessivo e che potrebbe essere rubricato in termini di pseudo-empirismo “pret-à-porter”, dai toni rozzi e volgari. Le offese al paesaggio sono state perpetrate in Italia dalla separazione colpevole e dissennata fra etica e politica, dalla rottura dell’armonia classica fra estetica ed etica per la quale il bello è anche buono e viceversa. L’appello alla bellezza intesa quale atto di responsabilità spinge l’Autore a un’attenta disamina del ruolo che la politica riveste nella pianificazione del territorio e del paesaggio. Se il paesaggio è la risultante dell’interazione continua fra la natura e l’uomo di cui costituisce la diretta emanazione, allora la via d’uscita non potrà che essere quella di una “ri-figurazione” e di un ripensamento radicale del paesaggio stesso in funzione della vivibilità. Ciò dovrà attuarsi attraverso l’educazione e la formazione. Due concetti basilari fondativi di buone pratiche e da intendersi più sotto l’angolazione della paideia greca e della Bildung germanica che di un’istruzione politecnica tributaria del dogma tecnocratico. Se vogliamo progettare un futuro che sia anche ricco di avvenire, nell’accezione di Paul Virilio, dobbiamo ritornare a un engagement etico-politico dotato di senso.
Annibale Salsa