Provengo da una valle bellissima: la Val Maira, in Provincia di Cuneo. Sono orgogliosa delle mie origini occitane, anche se dalla mia cittadina, Dronero, tanti anni fa scappai per non morire di depressione.
Oggi qualcosa è cambiato. Dronero è mutata nell’estetica, sicuramente più bella di un tempo: come i tanti paesi delle nostre province montane possiede un affascinate centro storico recuperato con un certo gusto. Ma appena si esce dal centro tutto si dissolve e mescola con le lussuose e provinciali “villettopoli”, voraci  divoratrici di ettari ed ettari di prati, campi e boschi.
Capisco l’umana tensione verso la “villettopoli”, e perdonatemi se sono provocatoria. Qui come altrove si respira il profondo conflitto esistenziale tra una vita che si vorrebbe migliore e che non si sa come migliorare se non con l’esibizione delle cose che si posseggono e si consumano.
I difetti della città stanno oggi contaminando le terre basse e alte di montagna, in barba al desiderio di alcuni di noi, ancora speranzosi di vedere una montagna che, per sua natura, possa permettere stili di vita  diversi. Alcuni di noi convinti che in montagna, meglio che altrove, si possano sperimentare nuove forme di sostenibilità. Ma sarà proprio vero?
In montagna la responsabilità delle istituzioni e dei cittadini verso il territorio è sicuramente maggiore, e non potrebbe che essere così vista la quantità maggiore di territorio, risorse e natura non ancora consumati che ognuno ha a disposizione, oltre che per la fragilità insita in questi particolari ecosistemi.
Ma per esercitare questa responsabilità in maniera adeguata occorrerebbe aver maturato saperi e competenze “alti”, assumendo così una capacità di volgere lo sguardo su orizzonti più ampi.
Occorrerebbero saperi nuovi per contestualizzare, per ritessere i fili del locale/globale.
Occorrerebbe  poter capire che cosa succede nel proprio territorio, comprenderne i fenomeni e saper  farvi fronte.
Quando accadono “catastrofi  naturali” come le alluvioni o le frane, ad esempio, si è totalmente disorientati. Ogni volta si forniscono spiegazioni basate su luoghi comuni, utili per togliere l’acqua dal proprio cortile, ma non per governare un bacino idrografico. Eppure molto di quanto occorre sapere è scritto nei libri di scienze e geografia comunemente studiati, ma mai pensati e provati nel loro uso sociale. Qualora acquisite, occorrerebbe poi saper tradurre queste conoscenze in atti pianificatori. Ad una gestione del territorio non sempre responsabile, se non addirittura basata sul soddisfacimento di singoli interessi, occorrerebbe sostituire una pianificazione partecipata che sappia prendere in considerazione i problemi, prefigurare le differenti soluzioni e verificare la bontà dei risultati raggiunti.
Un sogno quasi impossibile, anche se mai come oggi la tecnologia e la conoscenza, in particolare quella scientifica, si stanno offrendo a noi su un vassoio dorato. Mai come oggi sarebbe possibile conciliare ambiente, lavoro, equità e qualità della vita. Ma occorre saper vedere lontano e soprattutto avere tanta determinazione al cambiamento.
Vanda Bonardo