Nel mondo dei forestali si dice che di fronte ad un bosco si devono porre almeno tre domande: “da dove vieni? chi sei? dove stai andando?”. Un’esortazione a conoscerne il passato, per comprendere il presente e intuire il futuro dei nostri boschi e delle nostre foreste, la più grande infrastruttura verde esistente. Un immenso patrimonio che in Italia copre oltre 12 milioni di ettari di territorio, il 40% della superficie nazionale, con un’estensione raddoppiata nell’arco degli ultimi 50 anni, dal dopoguerra ad oggi, grazie a fenomeni di abbandono, demografico e produttivo, soprattutto delle terre alte.
Eppure, nonostante la poca pianificazione, ieri come oggi i boschi e le foreste svolgono funzioni insostituibili: rappresentano il serbatoio naturale di fissazione del carbonio emesso dalle attività antropiche e costituiscono un utile strumento di contenimento degli impatti dei cambiamenti climatici, oltre ad essere fondamentali per lo sviluppo economico delle aree rurali del nostro Paese. Infine hanno un grosso valore socio-culturale, ambientale, paesaggistico e di difesa idrogeologica.
L’uomo oggi come ieri ha quindi bisogno del bosco, e per fruirne nella giusta misura, deve recuperare il giusto rapporto con questa risorsa che nel tempo ha perso, soprattutto per quanto riguarda le funzioni produttive, attualizzandole con un’attenzione particolare alle nuove funzioni ambientali ed ecosistemiche. Oggi per una buona gestione delle superfici forestali, ai tre quesiti posti in apertura dell’articolo, se ne deve aggiungere infatti un quarto: “dove voglio che tu vada?”. Una domanda capace di generare forti conflitti tra i sostenitori di una visione antropocentrica e quelli di una biocentrica. Sono i due sguardi opposti che hanno animato la focosa discussione sul recente decreto legislativo numero 34 del 2018, noto come Testo unico forestale (Tuff).

Eppure, che si abbia una visione antropocentrica o biocentrica, resta il fatto che non si può astenersi dal decidere se e come intervenire in un bosco, ben sapendo che, anche quando non si decide, se ne determinano comunque le sorti. Il nostro territorio è il risultato di interventi di antropizzazione che durano da oltre due millenni e oggi più che nel passato, con i cambiamenti climatici in atto, dobbiamo assumerci tutte le responsabilità del caso per capire come e cosa lasciare alla future generazioni, in termini di conservazione e uso equilibrato delle risorse. Uno dei pregi del Tuff infatti risiede nel fatto che delinea con chiarezza la necessità di una pianificazione integrata e multifunzionale del bosco, avvalendosi di adeguati e innovativi strumenti di analisi, capaci di indicare le possibili future strategie gestionali per equilibrare funzioni tra loro non solo complementari ma spesso anche competitive e conflittuali.
I boschi e le foreste devono essere messi in condizione di esprimere al massimo la propria capacità di erogare servizi ecosistemici, a beneficio dell’economia e del presidio sociale dei territori e delle comunità forestali, per contrastarne, e se possibile invertirne, i fenomeni di abbandono, e per alimentare un benessere collettivo basato sull’utilizzo sostenibile e appropriato di risorse naturali rinnovabili.

Per questo motivo, come ha sostenuto Legambiente nel manifesto di Ornica “Per una gestione forestale sostenibile” (Summit Carovana delle Alpi 2018), occorre imboccare senza esitazioni la strada della gestione attiva delle risorse forestali, siano esse di proprietà pubblica o privata, e soprattutto farlo bene, sviluppando gli strumenti redistributivi necessari a garantire i giusti ritorni a chi investe risorse e lavoro, attraverso il pagamento dei servizi ecosistemici delle foreste.
Perché questo avvenga è indispensabile che la nuova legge venga recepita a trasformata in un’efficace e coerente produzione di norme attuative ministeriali e regionali (vedi l’articolo di seguito di Renzo Motta). Per quanto riguarda poi l’aspetto delle produzioni legnose, la gestione forestale per gli ambiti produttivi deve orientarsi alla produzione di assortimenti legnosi di pregio, quelli che si prestano a usi durevoli, coerentemente con gli indirizzi della strategia forestale europea. L’Unione Europea chiede agli Stati Membri un uso dei prodotti legnosi estratti dalle foreste secondo un principio a cascata: la produzione energetica con i residui, i sottoprodotti e i prodotti a fine ciclo, mentre da foreste gestite possono essere prelevati prodotti legnosi di pregio in maniera sostenibile. Il tutto corredato da un’adeguata strategia industriale, che nella maggior parte delle regioni italiane dovrebbe essere per lo meno rivista, atta ad avvicinare le produzioni legnose locali al mercato dei trasformatori e degli utilizzatori finali, attraverso investimenti da attuare nei territori, percorsi di formazione e accreditamento e la promozione di filiere dei prodotti legnosi di cui sia certificabile l’origine regionale.
Ma come premesso nella prima parte di quest’articolo, sarebbe riduttivo pensare alla rivitalizzazione dell’economia forestale solo in termini di legno e biomasse: occorre promuovere le produzioni non legnose e accedere al complesso di servizi che la foresta può erogare, in modo da differenziare le opportunità e superare il carattere di stagionalità proprio delle attività forestali. Le foreste, lo ripetiamo, sono anche un fondamentale serbatoio di carbonio su scala globale, che con la stipula degli Accordi di Parigi nel 2015 ha assunto un ruolo chiave per il raggiungimento di un equilibrio tra emissioni e rimozioni di gas serra in atmosfera. L’entrata in vigore del Tuff ha coinciso, a livello europeo, con l’approvazione del nuovo regolamento comunitario per l’inclusione del settore forestale negli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra. E allora l’attuazione di tale regolamento per l’Italia può rappresentare non solo una sfida ma anche un’opportunità per un rilancio della gestione forestale, più che mai importante anche in vista  del prossimo Piano nazionale energia clima, il nuovo strumento di governo di cui l’Italia si deve dotare, che finalmente sarà costretto a prendere in seria considerazione la valorizzazione del patrimonio forestale in termini sia di adattamento sia di mitigazione.
Vanda Bonardo, Responsabile Legambiente Alpi