Poco prima dell’estate 2020 il contagio da Covid 19 ha cominciato a colpire tribù amazzoniche irraggiungibili (https://bit.ly/32LmY5i; https://bit.ly/38OdM3N ). In Ecuador, dove la pandemia ha colpito duramente, il primo contagio era di una giovane indigena incinta, di 17 anni, della tribù Waoran, che è stata curata nella città di Qito. Ma molte altre persone delle “aree interne” del Sud e Centramerica hanno avuto difficoltà ad essere raggiunte per ottenere cure tempestive. I nativi stessi hanno dichiarato che la malattia potrebbe essere una catastrofe per le loro comunità. Nonostante la popolazione urbana consideri le tribù indigene amazzoniche in grande equilibrio con la natura, isolate e con modi di vita diversi da quelli urbani, in queste aree l’incidenza pandemica è molto superiore alle medie regionali degli stati a cui appartengono. L’isolamento che finora ha garantito la loro stessa esistenza, e che forse qualcuno potrebbe pensare in prima battuta salvifico, ora li uccide. Le cure sono difficili, come le informazioni per mettersi al riparo dal contagio. E cosa capita allora se leggiamo questi dati dal punto di vista della sostenibilità? Che l’ambiente prevale, in termini di adattamento, sulla sfera socio-economica. Anche se sembra una reminiscenza leopardiana della natura maligna la verità è che l’uomo, denudato della tecnologia e dei suoi strumenti, abbandonato alla natura e i suoi processi di adattamento, non è destinato a ottenere grande felicità.
Questo esempio può costituire quindi una metafora a scala ristretta del rapporto uomo-natura contemporaneo, da affiancare alla metafora del collasso dell’Isola di Pasqua, che invece spiega le conseguenze autodistruttive del prevalere delle dimensioni socio-economiche sull’ambiente.
Protezione o adattamento?
E’ ormai consolidato riferirsi alla nostra epoca come ad una nuova Era geologica in cui per la prima volta nella storia del pianeta le più importanti cause delle trasformazioni fisiche sono dovute alle azioni umane e non a quelle naturali. Dalla definizione di Stoermer e Crutzen questa nuova Era è l’Antropocene. Qualcuno potrebbe obbiettare che l’uomo fa comunque parte della natura. Ebbene sì, nasce e si alimenta attraverso i sistemi biologici, ma quando agisce – soprattutto per produrre, riscaldarsi e spostarsi – le sue azioni attuali producono squilibri sulla biosfera che impattano direttamente sulle sue future condizioni e possibilità di vita. Forse è questo che bisognerebbe sottolineare, all’interno del dibattito e della divulgazione scientifica inerente la relazione uomo-ambiente: in chiave di sostenibilità non sono la natura o l’ambiente l’oggetto centrale delle nostre valutazioni. E’ l’uomo stesso, in relazione all’equilibrio ambientale con le condizioni sociali ed economiche.
Sarebbe quindi opportuno, per evitare catastrofi e contenere i danni, considerare il dibattito intorno all’ambiente non tanto centrato sulla protezione della natura, quanto
sull’adattamento umano. Questo non significa che non serva proteggere ambienti naturali sensibili. Vuol dire invece che in una prospettiva globale, contro negazionismi di qualsiasi genere, può essere comoda una prospettiva utilitaristica, che consideri i danni sociali ed economici direttamente conseguenti ai danni ambientali. Cominciare a ri-progettare le nostre esistenze per un futuro sostenibile, considerando le aree urbane come principali fonti di problemi umani. L’Organizzazione no-profit CDP analizza dettagliatamente questi rischi per le città del pianeta su https://bit.ly/3fmhBhX.
Città e fattori di rischio derivati dai cambiamenti climatici (fonte: Cdp, 2020) – l’intensità di colore indica l’aumento di rischio da 1-meno severo a 3-estremamente severo, la dimensione indica la popolazione residente
Strategie di adattamento
Proprio su questa dimensione si muovono le strategie dei Paesi UE e le principali linee di finanziamento dei progetti di sostenibilità e adattamento, a scala europea, regionale e urbana. Dal 2013 l’Unione Europea esprime all’interno della “Strategia di adattamento ai cambiamenti climatici” la necessità di operare con progetti mirati su temi trasversali dei vari Paesi, facendo derivare da questa strategia l’avviamento dei progetti Life e la costituzione della piattaforma Climate ADAPT sui cambiamenti climatici. In agosto 2020 la Confederazione Svizzera ha pubblicato il nuovo documento “Adattamento ai cambiamenti climatici in Svizzera – Piano d’azione 2020-2025″, un nuovo piano strategico quinquennale. Esso è basato su una preliminare valutazione dei rischi combinati tra le diverse forme di impatto, che confluiscono in 75 misure dettagliate, individuando i principali responsabili e le azioni/progetto da attivare in specifici cronoprogrammi su 14 temi trasversali (tra cui la gestione delle acque, dei pericoli naturali, il turismo, la salute umana, il coordinamento). Questi temi vengono impostati in una chiave di investimento: per la riduzione dei rischi, per una ottimizzazione degli investimenti umani ed economici. Si prevede ad esempio che i piani e i progetti urbani debbano tenere conto della valutazione delle nuove dinamiche ambientali quali l’aumento del rischio di piene e la minore stabilità dei pendii. E le future progettazioni dovranno implementare misure di valutazioni dei probabili danni. Sullo stesso piano vengono valutate altre implicazioni del crescente stress da calore, verso i cittadini, le aree urbane (strategie di adattamento per le precipitazioni intense e la grandine), la produzione delle derrate alimentari, gli animali da produzione o da compagnia, la diffusione di nuovi vettori per la diffusione di malattie. 160.000 franchi l’anno sono stanziati solo per il monitoraggio e la comprensione degli impatti della diffusione della zanzara tigre sulle Alpi.
Analogamente, sempre in area alpina, in Baviera dal 2015 è stato istituito il programma Klimacheck (https://bit.ly/3lY4ypA), che monitora localmente le variabili di adattamento climatico. Il “controllo climatico” deve essere la base della pianificazione strategica e delle decisioni di investimento, oltre che implementare i piani locali per la sicurezza dei cittadini. A questo vengono associati progetti di ricerca nazionali e diversi progetti locali allineati a Klimacheck e alla complessiva strategia dell’”offensiva bavarese per la protezione del clima”.
Contributi interessanti giungono inoltre da specifiche progettazioni urbane: tra i più lungimiranti, il progetto europeo ecosostenibile del quartiere Kronsberg di Hannover (DE), che dal 1993 ha definito un sistema insediativo per 15.000 abitanti interamente ecosostenibile, lavorando sul tema della mobilità (annullamento della necessità di ricorrere a veicoli individuali inquinanti), sulla produzione energetica, con l’integrazione di eolico e cogenerazione.
Progettazione urbana
Analogamente, su specifici temi al di fuori dell’area alpina, sono seguiti progetti come il Solar City di Linz (AU), o i progetti di sostenibilità di Malmö (SE) e dei suoi quartieri, legati alla costruzione di un ciclo chiuso della gestione dei rifiuti, alla piena sostenibilità energetica, all’aumento della biodiversità attraverso la diversificazione degli habitat delle specie (https://bit.ly/3nIYEcj).
A Padova dal 2016 il progetto Padova Resiliente definisce azioni specifiche rivolte ad una riprogettazione urbana integrata con il tema climatico e ambientale, definita sia su aspetti funzionali che morfologici: progetti fisici per il miglioramento dei deflussi idrici, rialzamento delle strade e riduzione dell’impermeabilizzazione, riduzione dell’albedo tramite integrazione del verde con analisi dell’irraggiamento solare e del surriscaldamento.
I progetti su questi temi sono molti, e non solo in Europa. La Florida ad esempio, già dal 2008, ha improntato strategie trasversali di adattamento umano contenute nel “Florida’s Energy and Climate Change Action Plan“. Un documento che contiene piani di riduzione dell’emissione di gas serra, azioni sulla biodiversità dell’Oceano Atlantico, e importanti misure organizzative. Questo perché in Florida il problema ambientale significa sopravvivenza, un po’ come per la città di Venezia. Per questo negli USA è stato istituito un Comparto regionale sul riscaldamento climatico, composto da tecnici, che definisce le azioni generali da seguire. In parallelo i pianificatori comunali devono incorporare il cambiamento climatico nei loro piani di utilizzo del suolo e tramite un continuo monitoraggio ambientale le azioni/progetto vengono costantemente riallineate. Se le proiezioni di aumento del livello del mare cambiano, le singole Contee devono tradurre nuove azioni di adattamento, e così via. Tuttavia, mentre l’ex governatore della Florida Rick Scott si occupava di perseguire la grammatica, molti benestanti e VIP locali hanno iniziato a vender casa per trasferire le residenze in zone meno ambientalmente problematiche. Questo processo ha già un nome: Gentrificazione climatica, e non investirà solo la Florida (leggi un recente articolo su questo tema del quotidiano La Repubblica).
Alberto Di Gioia