La domanda se il rifugio possa essere presidio del turismo dolce sembra retorica. Ovvio che sì, ci viene da rispondere. Quando però le risposte si danno troppo per scontate accade che, bene che vada, qualche opportunità venga persa per strada. Ho provato a guardare più da vicino la parola “presidio” e mi sono reso conto che ha a che fare con il concetto di difesa. Un presidio militare sta in un luogo con lo scopo di difenderlo da qualche nemico. Premesso che “il termine rifugio è una galassia” (così nell’introduzione di “Cantieri d’alta quota” di Luca Gibello) assai vasta e sempre più variegata, il suo ruolo è oggi veramente difensivo nei confronti del turismo dolce?
Il rifugio in fondo nasce per sperimentare situazioni nuove: passare la notte in quota. Prospettiva spaventosa (perché ignota) e affascinante al tempo dei draghi sulle Alpi. I draghi sono scomparsi, ma il fascino è rimasto. Tant’è che sempre più rifugi sono frequentati per il piacere di una notte dentro la natura della montagna e non più solo come punto d’appoggio necessario per ascensioni o alte vie. Quindi benché rimangano differenze tra un rifugio a 3500 e uno a 1500 metri, anche quelli costruiti “dove iniziavano i ghiacciai”, ora si raggiungono con le scarpe da trail e i ghiacciai li si vede sempre più lontani. Questo, senza approfondire, solo per dire che forse nessun rifugio può dirsi dedicato esclusivamente ad una élite turistica.
Torniamo quindi alla nostra domanda. Il ruolo del rifugio è di presidio/difesa, o c’è qualcosa in più?
Certamente un luogo abitato è un territorio difeso dall’abbandono e dall’incuria, ma se ci riferiamo al turismo dolce cosa c’è da difendere?
Provo allora a cercare almeno un paio di alternative al “rifugio presidio”, ovviamente non esaustive, ma che potrebbero stimolare qualche riflessione. Sicuramente più di una risposta scontata.
Innanzitutto, pensando ai rifugi, una delle prime caratteristiche che viene in mente è la loro (in gran parte) autosufficienza energetica. Per necessità da sempre, è così in alta quota. Ma oggi che l’abbandono del fossile risulta un’urgenza per ogni settore, possono i rifugi essere dei modelli su questa strada? Mi si chiederà che c’entra con il turismo questo.
Se siamo d’accordo con l’antropologo Marco Aime che più che parlare di “turismo responsabile” è il turista a dover essere responsabile, non possiamo pensare che il “turista responsabile” non apprezzi uno sforzo in tal senso della struttura che lo ospita. Uno sforzo appunto: come in molti rifugi già avviene, occorre andare oltre alla necessità logistica di produrre meno rifiuti, di risparmiare energia (etc.), ponendosi come modelli virtuosi. Modelli che dicano che è possibile fare qualcosa di folle come lo era un tempo dormire in montagna: alleggerire al massimo la propria impronta, anche quando ci potrebbero essere soluzioni più comode. Altri draghi potrebbero sparire.
Ma c’è dell’altro. Ho pensato alle parole di Elena, rifugista, (potete ascoltare la chiacchierata con lei nel podcast di questo numero) che mi ha raccontato come siano sempre di più le persone che salgono in rifugio solo per provare com’è, non conoscendo nulla della montagna, né tanto meno del territorio. Questo è molto bello: c’è sempre di più la ricerca di luoghi che possano rimetterci in connessione con quella natura, diventata oggetto esterno nelle nostre vite e di cui forse senza accorgerci sentiamo nostalgia. E ancora allora mi chiedo che c’è da difendere e presidiare? C’è da accogliere, raccontare, spiegare. Non vorremo difendere la montagna dai “non iniziati”, vero? Il ruolo del rifugio può essere proprio questo allora, cogliere quell’entusiasmo e farsi chiave di lettura del territorio. Accompagnare i propri ospiti a comprendere la responsabilità del loro essere turisti. Non so se possa esistere una figura di educatore turistico, ma nel caso sarebbe una competenza perfetta per rifugiste e rifugisti.
In base alla mia esperienza mi vien da dire che la maggior parte delle gestrici e dei gestori siano già su questa strada e abbiano la sensibilità e le competenze per un salto di consapevolezza: da presidio a rifugi modelli virtuosi e centri di educazione al turismo dolce. Perchè no.
Luca Serenthà