Sono passati solo 18 mesi da quando la nostra rivista ha dedicato un primo numero speciale ai “montanari per forza”, in seguito al convegno di Milano-Bicocca (primo del suo genere in Italia), organizzato dal basso e senza fondi, per discutere il fenomeno dell’immigrazione straniera nelle montagne del nostro Paese.
Nell’editoriale del febbraio 2016 scrivevamo così: «Un numero dedicato a quei nuovi abitanti delle Alpi e degli Appennini che, pur non avendo scelto di andare a vivere e a lavorare nelle terre alte in base a forti motivazioni ideali o progettuali, tuttavia, parafrasando Luigi Zanzi, sono almeno in parte, “migranti che si fanno montanari”. Migranti che devono diventare montanari per forza di cose, per necessità di adattamento e di sopravvivenza, temporanea o permanente che sia. Oppure migranti che possono diventare montanari per proprie risorse interiori, per una forza che può assumere i tratti della resilienza, nel confronto con un ambiente non facile ma che può offrire opportunità e stimoli. Sempre che, naturalmente, accoglienza e inclusione non siano demandate unicamente all’intelligenza e al cuore delle realtà territoriali interessate, senza che la politica e le istituzioni facciano la loro parte, per creare un contesto normativo e sociale favorevole». (Leggi il numero completo)

Quando scrivevamo queste parole, il fenomeno consolidato dei cosiddetti “migranti economici” nelle terre alte veniva praticamente sostituito da quello dei richiedenti asilo e dei rifugiati, indirizzati forzosamente verso le valli montane e le aree interne italiane da politiche che, purtroppo, sembravano guardare più alla dispersione degli stranieri sul territorio (l’occultamento in quelli che chiamavamo “spazi di retroscena”) che alla loro inclusione sociale, temporanea o permamente che fosse.
Eppure, a fronte delle carenze dell’intervento istituzionale (tutto concentrato sulla dimensione “emergenziale” di un fenomeno di cui non si volevano riconoscere invece i tratti strutturali e di lunga durata né le potenzialità), si delineava già allora l’attivismo delle associazioni, delle parrocchie, delle ong e dei comuni, nell’ambito dei progetti di accoglienza ufficiali come delle iniziative informali, delle mobilitazioni, dell’aiuto diretto, dell’ospitalità domestica. E questo accadeva anche e soprattutto nelle terre alte, dalle Alpi agli Appennini, lasciando emergere i tratti di un approccio ben diverso al tema migratorio: un approccio non emergenziale ma piuttosto attento a come valorizzare nel tempo la risorsa territoriale rappresentata dai “montanari per forza”, nella direzione della resilienza rispetto a comunità locali in crisi demografica ed economica, dell’innovazione sociale e culturale, dello sviluppo sostenibile e responsabile.
Noi di Dislivelli abbiamo creduto fortemente in questo nuovo approccio e nella possibilità di contrastare – dati statistici e buone pratiche alla mano – tanto la logica della “discarica sociale” dei migranti nelle zone montane, quanto quella (nei fatti complementare) del business dell’accoglienza, gestito da chi lucra sul fenomeno. E i primi risultati, perlomeno in termini di sensibilizzazione dell’opinione pubblica  e di diffusione dell’informazione, stanno cominciando ad arrivare.
Dal convegno di Milano in poi la nostra associazione ha partecipato in prima persona alla costituzione e al rafforzamento di una rete – prima nazionale e poi internazionale – di ricercatori, operatori di ong, giornalisti e amministratori locali, tutti accomunati dall’impegno sul tema della migrazione straniera verso le terre alte. Ci sono state numerose iniziative pubbliche, nelle città di pianura e nelle valli montane. Si sono pubblicati articoli scientifici e a carattere divulgativo, su riviste italiane e straniere (e due volumi collettivi sono in fase di pubblicazione: ne parleremo già nel prossimo numero). Abbiamo contribuito ad organizzare altri momenti di confronto e di studio, dall’Alp Week in Baviera al recente seminario internazionale di Salecina, in Svizzera, al prossimo convegno di Bolzano, che si terrà a novembre presso Eurac (e anche di questo parleremo nei prossimi numeri della rivista). Senza mancare ad appuntamenti di taglio diverso, ma sempre occasione per discutere di questi temi, come il prossimo festival “Il richiamo della foresta” (di cui parliamo in questo numero) o il recente Forum aree interne 2017 ad Aliano.
Abbiamo infine realizzato e presentato a Torino la ricerca “Montanari per forza”, all’interno del convegno “Il mondo in paese. Dall’accoglienza all’inclusione dei rifugiati nei comuni rurali del Piemonte”, una giornata dedicata ai progetti di accoglienza e integrazione per i rifugiati nei comuni montani e rurali (raccolta di buone pratiche che pubblichiamo integralmente con questo numero della rivista) realizzato da Compagnia di San Paolo, Regione Piemonte, Città Metropolitana di Torino, Associazione Dislivelli e Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione (Fieri). La ricerca “Montanari per forza” è un lavoro che per la prima volta permette di visualizzare la distribuzione dei richiedenti asilo e dei rifugiati sul territorio montano del nostro Paese, analizzando nel contempo le numerose esperienze virtuose di accoglienza nelle Alpi occidentali. E in altri progetti di ricerca e di studio su questi temi siamo parte attiva, a partire dalle call europee di Alpine Space, cercando di dare il nostro contributo all’allargamento della riflessione in un’ottica panalpina e transnazionale, come testimoniano anche alcuni degli articoli ospitati in queste pagine, che ci forniscono dati e spunti di riflessione sui vicini casi della Svizzera e dell’Austria.
Gli altri contributi di questo numero speciale approfondiscono poi la realtà delle buone pratiche di accoglienza dei richiedenti asilo nelle Alpi italiane, dal Cadore alla Val Chiavenna, al Trentino Alto-Adige (ancora una volta la storia ci riconsegna dunque le Alpi come “terra di asilo e terra di rifugio”). Si delinea così, con i nuovi tasselli che si aggiungono a un mosaico in costante crescita, un esperimento di portata nazionale ed internazionale, focalizzato sul ruolo dell’immigrazione straniera per il rilancio delle terre alte: su questo esperimento sociale, culturale ed economico vogliamo continuare ad investire in futuro, nella convinzione che la montagna abbia bisogno anche e soprattutto di nuovi abitanti, e che la presenza straniera possa contribuire in modo sostanziale ad accrescere la massa critica e antropica dei “nuovi montanari”.
“Per forza” e “per scelta” non sono necessariamente due polarità inconciliabili: perché montanari si nasce ma, oggi più che mai, soprattutto lo si diventa.
Alberto Di Gioia, Maurizio Dematteis e Andrea Membretti