Fondazione Montagne Italia (a cura di), “Rapporto Montagne Italia 2015”

Chi vuol sapere quasi tutto sulla situazione, i problemi e le prospettive della montagna italiana, deve leggere le 332 pagine di questo rapporto. Quello della Fondazione Montagne Italia, diretta da Luca Lo Bianco, è un lavoro meritorio che comincia a colmare una lacuna ormai pluridecennale sulla conoscenza della questione montana italiana. Conoscenza in assenza della quale si è andati avanti tagliando, riformando e legiferando, come se il 58% del territorio italiano e i 14,3 milioni di persone che vi risiedono fossero cosa di poco conto, se non addirittura una seccatura per il manovratore politico. Senza accorgersi che, come viene sottolineato nell’introduzione e nella premessa di Enrico Borghi, in questa lunga crisi la montagna sta diventando un’importante risorsa a cui attingere e un ambiente in cui sperimentare nuovi modelli di vita e di lavoro.
Il rapporto è diviso in due parti. Nella prima metà, affidata a Caire Urbanistica (dir. Ugo Baldini) se ne dà un’immagine socio-economica territoriale, utilizzando le varie fonti disponibili, soprattutto quelle statistiche censuarie, ma non solo. La seconda metà, curata da Eures (pres. Fabio Piacentini), s’intitola “le voci della montagna”, che sono quelle di un campione stratificato di 440 sindaci e poi di un gruppo di “osservatori qualificati” intervistati in profondità.
Di Caire Urbanistica conoscevamo già il bell’Atlante Rurale (2013), alcuni temi del quale vengono qui ripresi, assieme a molti altri e riferiti specificamente ai territori montani. La documentazione è affidata a un ricco apparato di tabelle e cartogrammi. Purtroppo l’Istituto italiano di statistica non offre partizioni territoriali intermedie (tra quelle comunali e quelle provinciali) adatte alla montagna. Oltre al ritardo nella pubblicazione dei dati censuari, il fatto che solo la metà dei 611 Sistemi Locali del Lavoro che interessano la montagna (al censimento 2011) siano esclusivamente montani, impedisce confronti statistici a scala di “area vasta”, che il frazionamento dei 4200 comuni montani renderebbe necessari. Utilizzando numerosi indicatori (elencati e illustrati in appendice) l’immagine della montagna italiana si viene delineando attraverso vari temi: la geografia naturale e amministrativa, la demografia, le istituzioni e la rappresentanza, l’accessibilità, i servizi e le infrastrutture digitali, l’economia (con particolare riguardo a quella agro-alimentare, forestale ed energetica, quella turistica, gli squilibri di reddito, poco sui distretti industriali), la manutenzione e la conservazione del territorio, lo sviluppo rurale. Mancano alcuni temi importanti su cui le fonti sono carenti. Soprattutto quello dell’acqua, che come sappiamo viene in gran parte dalla montagna e in genere il tema gli scambi tra le zone montane e quelle urbanizzate della pianura e delle costa, compresi i servizi eco-sistemici, di cui tutti parlano, ma di cui poco si sa in termini di flussi e di valori.
Questa ”fotografia” mostra anzitutto che il titolo del rapporto è appropriato alla situazione italiana in cui esistono tante montagne diverse. Essa mette poi a fuoco una serie di problemi. Ad esempio, se si escludono le Regioni e le Province Autonome totalmente montane, colpisce il perdurare degli squilibri e della dipendenza rispetto agli avampaesi urbanizzati, comprese le carenze di manutenzione che si ritorcono in gravi danni per questi ultimi. E ancora: il crescente distacco del Sud rispetto al Centro-nord per quanto riguarda spopolamento, invecchiamento, accessibilità, industria e turismo, solo in parte compensato da un miglior utilizzo delle potenzialità agricole. Ma le indicazioni esplicite su come indirizzare le politiche vengono soprattutto dalle “voci” della seconda parte. Il malessere generale dimostrato dai dati è a grandi linee confermato. Tuttavia la maggioranza dei sindaci pensano che i loro cittadini godano di una buona qualità della vita dovuta a fattori identitari e ambientali, e che in ciò consista il punto di forza della montagna, in particolare nella ricchezza del patrimonio naturale. A dispetto delle note carenze infrastrutturali, delle ridotte risorse finanziarie e umane a disposizione delle Amministrazioni locali, si affermano visioni e pratiche attive nella valorizzazione delle risorse territoriali agro-pastorali e turistiche. Inoltre quasi i due terzi dei comuni montani producono energia da fonti rinnovabili e un quarto di essi ne esportano. C’è una diffusa consapevolezza della necessità di agire in forma associata, attraverso comunità montane, unioni, Gal ecc. Dalle interviste in profondità vengono indicazioni per le politiche. Tra queste: riconoscere la specificità delle potenzialità e delle esigenze delle terre alte, evitando di omologarne le politiche a quelle di altre aree con problemi simili ma con caratteristiche diverse; conseguenti problemi di classificazione dei comuni montani; governance inter- e sovra-comunale per la valorizzazione condivisa delle risorse territoriali; sviluppo di forme di turismo “alternative” e diffuse; analisi rivolte a calcolare entità e valore dei servizi eco-sistemici; infrastruttura telematica e formazione per lo sviluppo dell’occupazione locale.

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