Marco e Tiziana Pozzi, Rifugio Levi-Molinari, Località Grange della Valle, 1850 m, Valle di Susa.

Chi è il gestore di un rifugio? Banalmente, la persona che ci accoglie quando arriviamo stanchi e affamati in un posto che di solito è anche l’unico che possa offrirci riparo e ristoro nel raggio di molti chilometri di natura in quota. Chi sopporta il nostro escursionistico afrore di salino, calzettoni putridi e crema solare, lo stesso che accetta con un sorriso la nostra assurda pretesa di fare colazione prima dell’alba per fare una passeggiata di due ore per cui incamminarsi alle nove del mattino sarebbe già un eccesso di zelo. È il tuttofare che mentre dosa le risorse energetiche e idriche della struttura, intrattiene i clienti, li distribuisce nelle camere e cerca di sfamarli, nel contempo dispensa consigli, racconta aneddoti, ha una battuta per tutti. È lo psicologo cui confidare, dopo le 22.00, nell’intima oscurità del coprifuoco delle camerate silenziose, patemi e passioni che in condizioni normali andrebbero estorte con la forza. Può essere il custode della notte alpina, colui che veglia sulle imprese dell’indomani (sgridandoci con aria preoccupata quando rientriamo un attimo prima che, allarmato, il nostro angelo custode chiami il Soccorso alpino) oppure semplicemente colui o colei che ci mette nel piatto qualcosa che di solito svela molto sulla nostra e sulla sua idea di montagna. Una polenta non è mai solo una polenta: è sempre l’incontro fra le aspettative di chi la ordina e di chi la prepara. Quindi, evidentemente, il gestore è tutto il contrario di una persona banale. Ma com’è fatto un gestore di rifugio alpino? Esiste un identikit possibile di questa figura che ha un ruolo insostituibile nel nostro immaginario di frequentatori della montagna? C’è un ‘costume’, un ‘copione’ che si ripete in ogni caso? In che misura un gestore è anche un po’ attore, interprete di un ruolo svolto su di un canovaccio già scritto?
Lo abbiamo chiesto a Marco Pozzi, che insieme a sua moglie Tiziana e al giovane Didier (dodici anni e dodici stagioni da rifugista!) gestisce da quindici anni il rifugio Levi-Molinari (detto anche ‘Mariannina’), storica struttura del Cai Torino, costruita negli anni Venti in Valle di Susa, nel comune di Exilles a 1850 m di quota, all’interno di quella che oggi è un’oasi faunistica che ospita tutte le specie simbolo delle Alpi, dall’ermellino all’aquila, dal gipeto al gallo forcello, dallo stambecco alle coturnici.

Marco, chi è il gestore del rifugio? In che misura si può considerare un attore?
Marco non ci pensa due volte e con un fremito della barba grigia con treccia risponde di getto: «Macché attore: ogni rifugista è personaggio a sé. Anche se tutti, alla fin fine, facciamo le stesse cose, ciascuno le fa a modo suo. Se non fossimo tutti un po’ degli outsider, delle persone estremamente testarde e dalla spiccata personalità, avremmo scelto un altro mestiere. C’è tutto il campionario: dal rifugista commerciale a quello attentissimo all’ambiente, dal compagnone all’esoterico, dall’alpinista al ristoratore. Tutti ci confrontiamo con problemi simili, ma le risposte sono differenti per ciascuno».

E voi, che tipo di rifugisti siete?

«Anche il rifugio fa la sua parte nel definire l’identità del gestore. Noi siamo una struttura degli anni Venti, dai muri spessi e dalle finestre piccole, facilmente accessibile e adatta alle famiglie, che abbiamo adattato nel rispetto dell’impianto originale per venire incontro alle esigenze di una clientela per lo più molto tranquilla, che si avvicina all’ambiente alpino magari durante le escursioni che organizzo come accompagnatore naturalistico. In questa realtà, che è il dato di partenza, abbiamo portato il nostro modo di essere rifugisti, uno stile di accoglienza in cui il sorriso è il punto di partenza indispensabile e l’obiettivo ultimo quello di far sentire le persone a proprio agio. Di sicuro, il rifugio non è un pianeta per misantropi».

Poi c’è l’impronta individuale…
«La mia storia è fatta di studi di medicina interrotti, di un’esperienza di insegnante di educazione fisica alle medie, di gestioni successive di un albergo a Bardonecchia, di un ristorante sulle piste e di una piola alternativa etilica, prima di approdare al rifugio Levi-Molinari in cerca di un lavoro in montagna che non mi portasse via tutto il tempo tutto l’anno. Ma non solo, sono uno scalatore e istruttore d’arrampicata FASI e ho cercato di circondarmi in rifugio anche della mia ‘gente verticale’».

Ciascuno ricrea grazie alle proprie competenze, passioni, sensibilità, un modo unico di gestire il rifugio, luogo magico che un po’ forgia e un po’ viene forgiato dal suo gestore. Che sia sportivo e firmato o fricchettone in zoccoli di pelle, alpinista o con la vena artistica, dovunque sulle Alpi il gestore è l’insostituibile narratore del territorio, destinato a subire ovunque richieste inattuabili di fritture di pesce o bagni in camera: a prescindere dal tipo di rifugista, la risposta per tutti è quella preventiva che usa spesso Marco con i clienti al telefono.«Siamo il rifugio Levi-Molinari. Questo è un rifugio. Ma per davvero».
Irene Borgna

www.rifugiolevimolinari.it