Carnul, cavan o meglio tela da ca’. Nell’Ossola la canapa è sempre stata una notevole risorsa delle famiglie contadine che, temporibus illis, provvedevano a coltivarla, lavorarla, trasformarla in tovaglie, lenzuola, vestiti. Oggi ribattezzata “Canapa alpina” in base a un progetto lungimirante, torna a essere coltivata in varie località.
Una coltivazione sperimentale, a macchia di leopardo. Ma anche un’attività che aggrega amici di diverse vallate e si aggiunge ai rari incentivi per tornare a vivere tra queste montagne ospitali e in sintonia con l’ambiente e le loro tradizioni ma scarsamente votate al turismo. Tutto può succedere tra queste belle montagne. Anche che alla canapa alpina nel cuore dell’estate vacanziera venga dedicata una simpatica presentazione a Viceno, tra le baite e gli orti di questa incantevole località della Valle Antigorio.
Qui, sulla soglia dell’affascinante Casa museo della montagna che ospita fra tanti cimeli un antico telaio, a ritessere la storia della canapa al cospetto di villeggianti e addetti ai lavori è stato il 21 agosto il professor Silvano Ragozza, insegnante di liceo a Domodossola, storico, antropologo ed esperto di dialetti ossolani.
«In Piemonte, l’Ossola è stata la zona canapicola più importante fino alla seconda Guerra mondiale – ha ricordato Ragozza –. Poi la canapa ebbe i giorni contatti per due ragioni: la concorrenza delle nuove fibre sintetiche adottate per i tessuti e la comparsa della canapa indiana come elemento destabilizzante della gioventù, un fenomeno che andava giustamente represso. Oggi quest’ultimo problema non esiste più: la cannabis sativa coltivata per produrre carta o filati o per scopi alimentari è un clone che non contiene sostanze stupefacenti».
Va precisato che il nome scientifico della canapa di cui si parla è Cannabis sativa: appartiene alla stessa famiglia delle cannabinacee di cui fa parte la Canapa Indica, più conosciuta come canapa indiana da cui si ricavano la marijuana e l’hashish. «L’occhio del profano difficilmente distingue la differenza tra le due canape – spiega ancora il professor Ragozza mentre fra i presenti circolano ciuffetti di cannabis “buona” da annusare –. Olfattivamente c’è in effetti una bella differenza che deriva dal contenuto dei cannabinoidi degli steli: nella sativa questo elemento è quasi inesistente mentre nell’indiana è notevole e serve appunto per ricavare la droga».
«Il progetto nell’Ossola è partito il 4 maggio in via sperimentale e in diversi piccoli appezzamenti – ha spiegato Simona Brini, una delle responsabili del progetto –. Tra gli scopi vi è anche quello del recupero di aree non coltivate, compresi i terrazzamenti che nell’Ossola abbondano. Ora cerchiamo di capire, attraverso un gruppo di studio strutturato, se sia possibile andare avanti sulla base dei dati ricavati dal raccolto. Abbiamo acquistato 25 chili di semi, certificati da Assocanapa. La procedura burocratica è stata lunga, ma siamo riusciti a partire e speriamo di incrementare la produzione». Oggi le piantine lanciano gli steli ritti verso il cielo sullo sfondo delle belle baite ossolane. Un cartello (obbligatorio) rende note le caratteristiche della coltivazione.
Sono trascorsi appena tre mesi dalla festa della semina, organizzata nel borgo medievale di Ghesc, frazione di Montecrestese, da persone che fanno parte del progetto: tutti privati che hanno messo a disposizione terreni. A quanto si è appreso, l’estensione dei campi coltivati va da un minimo di 100 metri quadri ai 5 mila del campo di Domodossola. La quota non dovrebbe superare i 1600 metri, ma si è voluto tentare la semina anche più su, nella meravigliosa e solatia (quando non piove) piana del Devero. Ma la raccolta con l’estate che si avvia a diventare autunno non rappresenta che l’inizio di una lunga e complessa lavorazione. Le piante devono essere messe a messe macerare in appositi maceratoi (oggi ancora visbili). I bastoni di canapa vengono poi posti in luogo asciutto prima di procedere alla “stiatura”…
La domanda è se la canapa alpina riuscirà a imporsi come un brand in grado di giocarsi un ruolo nel made in Italy. Soprattutto vincendo la concorrenza della Francia che produce filati di canapa a prezzi concorrenziali. Si dovrà creare una filiera locale, dicono i rappresentanti di “Canapa alpina”. ArsUniVco, a quanto si è appreso, ha costituito il comitato “Sativa” che sta elaborando dati e progetti in vista di futuri bandi europei. A Viceno si è comunque brindato al successo dell’operazione degustando, nel corso di un rinfresco organizzato tra i prati dall’albergo Edelweiss, i “bottoni della strega”: dolcetti assai nutrienti, cucinati obbligatoriamente con cannabis. Farsi una canapa in questo caso è risultato un invito ragionevole.
Roberto Serafin
Il progetto “Canapa Alpina” è su Facebook al link http://on.fb.me/1EvbeEk.
link al video dell’intervento del Prof Ragozza
https://www.youtube.com/watch?v=8CQ-QJPxU3M
e al video degli altri relatori
https://www.youtube.com/watch?v=rb1gHA2DiOw
e della festa del raccolto a Bannio Anzino
https://www.youtube.com/watch?v=-kw-pCNx8zA
con il pozzo di macerazione e le signore che lavorano la canapa per fare le pantofole tradizionali…
Articolo interessante ma impreciso oltre che abbellito da pregiudizi moralistici. Prima di tutto non è stabilito se la Cannabis sativa e la indica siano due specie distinte o invece variazioni della stessa specie frutto della selezione umana. Secondo: la coltivazione e l’uso della cannabis in tutte le sue forme è stato per migliaia di anni parte della cultura Umana, quanto la coltivazione della vite, e non ha mai portato a problemi per la società paragonabili a quelli causati dall’alcool (che tanto piace alla gente di montagna…). Solo la menzogna, perché di menzogne si tratta, spinta da interessi di parte, ha dato inizio alla demonizzazione di una pianta parte della Natura. Questo ha ostacolato la ricerca, tanto che solo negli ultimi decenni si stanno (ri)scoprendone le proprietà farmacologiche. In una recente ricerca anzi si sostiene che la ricchezza genetica di questa pianta è in parte persa per la mancanza di libertà nella sua riproduzione, che è o ai fini di produrre varietà da THC o varietà prive dello stesso. Quanto all’odore: il profumo della canapa è dato principalmente dai terpeni, non dai cannabinoidi, e infatti vi sono nella varietà Carmagnola, per esempio, variazioni di profumi dal dolce, all’agrumato, sino a forti sentori quasi di trementina. Quanto ai cannabinoidi essi sono presenti anche nelle varietà europee industriali, con livelli bassi di THC/A ma spesso elevati di CBD/A e altri.
Visto che avete brindato alla buona riuscita, sappiate che così avete ingerito una sostanza che ha una dose letale relativamente bassa, e che se anche non vi sarete resi sbronzi, la vostra guida sarà comunque meno sicura, eppure nessuno vi incriminerà per aver aperto una bottiglia o coltivato un filare di vite.