Nel giugno 1990 al Summit di Nizza i due governi dibattono sull’opportunità di un nuovo collegamento ferroviario tra l’Italia e la Francia, sulla base di alcune ipotesi progettuali che si erano già concentrate sul Frejus e sulla Valle di Susa, ritenendo che lì vi fossero “minori resistenze”. Nell’ottobre 1991 al vertice italo-francese di Viterbo i ministri dei Trasporti incaricano i rispettivi enti ferroviari di avviare uno studio di fattibilità su un nuovo collegamento Torino-Lione. Ma già nel marzo 1991, sulla base delle notizie che cominciavano a trapelare dai contatti ufficiali e dagli studi delle ferrovie francesi e italiane, la Comunità Montana Bassa Val Susa lancia un appello che sarà destinata a ripetere molte volte: «Vogliono il Tgv ma prima ci spieghino dove vogliono farlo passare». Con l’esplicito obiettivo di contrastare il nuovo collegamento ferroviario a fine del 1991 nasce in valle il Comitato Habitat.

Partono così, più di vent’anni fa, due cronistorie parallele di un conflitto che in questi ultimi mesi, dopo aver conosciuto un primo apice alla fine del 2005, si è di nuovo riacceso con uno scontro “militare” per il controllo del territorio,.
Queste brevi riflessioni sono scritte per cercare di uscire da una logica binaria, dell’amico-nemico, una logica militare che mai come in questo momento non aiuta, a mio avviso, a prospettare soluzioni ed esiti diversi ad un conflitto tanto annunciato quanto negato.
Un conflitto negato. Perché chi si stupisce oggi dell’atteggiamento dei No Tav – che tra l’altro non sono affatto un pensiero unico, ma un movimento variegato accomunato dal “no”, ma che nel suo divenire ha costruito cultura e solidarietà che ne hanno aumentano la coesione – non può dimenticarsi che il conflitto di oggi è frutto dell’arroganza e della miopia di quanti, negli enti ferroviari, nei governi nazionali e locali, nelle varie lobby organizzate, ha pensato che il progetto si autogiustificasse. Per lungo tempo, troppo tempo, è stato presentato un progetto a scatola chiusa, su cui gli enti locali della Valle di Susa e i gruppi di cittadini organizzati non potevano dire nulla. Prendere o lasciar fare, comunque, salvo compensare e mitigare (poi e forse).
La situazione è cambiata dopo il 2005, dopo 15 anni, quando alla luce degli scontri di Venaus si è capito che occorreva una nuova strategia: è nato l’Osservatorio tecnico presieduto da Mario Virano. Ma fino a questo momento hanno tenuto banco un’informazione scarsa, da brochure patinata, e una logica progettuale impermeabile alle osservazioni e alle critiche. Nel frattempo il fuoco del dissenso lavorava, invisibile solo a chi non lo voleva vedere, a chi pensava si trattasse solo di un dettaglio. Clamoroso errore: il problema era ed è politico e culturale, prima ancora che economico e tecnologico. Solo una visione banalizzata delle dinamiche sociali poteva ignorare il conflitto, ed ha contribuito in  questo modo ad alimentarlo. Ma era un conflitto annunciato. Sarebbe bastato osservare cosa era successo nella tanto decantata patria del Tgv, la vicina Francia, dove un’opposizione altrettanto tenace e ostinata era nata nella valle del Rodano contro la linea del Tgv Mediterranée, contribuendo successivamente all’istituzione della procedura del Débat Public del 1995.
Tuttavia le cose sono decisamente cambiate dal 2005. Il progetto che si sta cercando di attuare con l’avvio dei primi cantieri in questa estate del 2011 è molto diverso da quello del 2005. Ed è decisamente migliore. Anche se, tengo a sottolineare, questo non vuole ancora dire che sia giustificato e necessario. Secondo lo stesso Virano, Presidente dell’Osservatorio tecnico sulla Torino Lione, il progetto del 2005 era un buon progetto trasportistico, mentre quello attuale è un progetto pensato per il territorio. Si può fare di meglio, si può non fare. Ma questo è un risultato importante sul piano politico, all’interno della dialettica legata a un processo decisionale.
La maggior parte dei media, in linea di massima, tratta i No Tav con un misto di malcelata sufficienza e disprezzo. Tuttavia anche chi li contrasta sui media spesso riconosce loro una grande capacità di comunicazione. Sicuramente l’hanno avuta nel momento in cui solo sui loro siti web si riuscivano a trovare informazioni dettagliate, anche i documenti ufficiali sul progetto, a fronte della incredibile povertà di materiale dei vari siti istituzionali (Ministero, Ferrovie, Regione…), che solo a partire dal 2006 hanno cominciato a fornire informazioni documentate sul progetto. I No Tav sono stati capaci di campagne e iniziative che hanno fatto scalpore e notizia, come l’acquisto in massa di terreni per ostacolarne le espropriazioni.
Ma, a mio avviso, prigionieri come sono di una logica amico-nemico, non sono finora stati capaci di comprendere la fondamentale vittoria e quindi comunicarla per farne un successo politico e un elemento di legittimazione politica e sociale. La vittoria consiste nell’aver costretto i promotori a confrontarsi con dati e studi seri e documentati da cui è risultato per esempio che la linea storica non era affatto satura, come veniva propagandato dalla retorica proTav. E vi sono altri elementi importanti documentati nei verbali e nei quaderni dell’Osservatorio. Soprattutto la vittoria – di una battaglia, non della guerra mi si dirà – è consistita nel far sì che il progetto su cui ci si scontra (fisicamente) oggi sia molto migliore del precedente.
Con ciò i No Tav hanno giocato un ruolo fondamentale in un processo democratico, che deve essere loro riconosciuto. L’opinione pubblica e le forze politiche non possono additare i No Tav come egoisti, perditempo, antiprogresso, quando hanno in realtà smascherato le inconsistenze del precedente progetto, costretto a esplicitare le ragioni della scelta, inducendo oggi a parlare di un progetto “low cost”. In realtà i No Tav hanno svolto un servizio fondamentale alla democrazia (e con questo mi voglio allontanare da tutte le proteste violente attuate da frange estreme o spesso da esterni al movimento). Tuttavia il problema di questo riconoscimento è in primis nei No Tav stessi, che in tal modo dovrebbero collocarsi all’interno del confronto democratico di un processo decisionale, cosa a cui tendono a sottrarsi.
Con ciò non credo che sia utile pensare a questa come la madre di tutte le battaglie, per non perdere il treno del progresso (secondo i ProTav) o per contrastare un modello di sviluppo di cui si mettono radicalmente in discussione i presupposti (secondo i No Tav). Questa logica porta solo a epiloghi tragici, violenti e da scongiurare in tutti i modi. Questa logica porta a far sì che la Valle di Susa sia luogo di scontro contro un certo modo di vedere la globalizzazione, un’altra piazza contro i vari G8. Ma questo con il progetto ha veramente poco a che fare, anche se sembra che gli attori, da una parte o dall’altra, stiano performando copioni scontati che arriveranno proprio qui.
Dalla vicenda si o no Tav si può uscire facendo un fondamentale passo in avanti nei processi di scelte pubbliche e nella costruzione della democrazia, – e in questo senso credo che l’esperienza dell’Osservatorio sia molto importante e significativa, pur con i suoi limiti ed errori – un passo in avanti utile in tanti altri casi potenzialmente conflittuali di processi localizzativi scomodi nel nostro paese, oppure si può uscirne tutti più poveri, perché privi della capacità di immaginare soluzioni differenti dagli esiti di un conflitto scontato.
Questa è la vera battaglia culturale. E’ per certi versi forse più importante capire come possiamo arrivare alla fine a decidere di fare o non fare il nuovo collegamento ferroviario che la realizzazione in sé.
Egidio Dansero

Info:
www.torino-lione.it (sito istituzionale)
www.ltf-sas.com/ (sito istituzionale della società mista Ltf)
www.transpadana.org/ (sito del Comitato promotore Transpadana)
www.ambientevalsusa.it (ex sito Legambiente Valsusa)
www.notav.eu (uno dei siti del movimento No Tav)
www.notavtorino.org (uno dei siti del movimento No Tav)
www.notav.info (uno dei siti del movimento)