Irene Borgna, Profondo Verde. Un’etica per l’ambiente tra decrescita e deep ecology, edizioni Mimesis, Milano-Udine, 2010
Un “trattato d’occasione” quello di Irene Borgna che, richiamando il procedere della “filosofia d’occasione” di Gunther Anders, parte dal constatare il peso della crisi ambientale del mondo contemporaneo per ripercorrere il percorso evoluzionistico del pensiero occidentale nella relazione dell’uomo con l’ambiente alla ricerca, per così dire, di spiegazioni sulla diffusione del pensiero antropocentrico nei confronti della natura. A ben vedere non si tratta solo di questo, in quanto il problema reale non è solamente rappresentato dal rapporto di predominanza dell’uomo nei confronti dell’ambiente, ma dalla scarsa consapevolezza dei cittadini globali di questo particolare stato. Uno stato che lega l’uomo a un ampliamento dei propri poteri biologici in relazione alla dipendenza dai prodotti industriali (Georgescu-Roegen, citato nel testo). Tra individualismo (antropocentrico, se non antropo-genico) e olismo (bio-ecologico) l’uomo è, sicuramente, l’unico essere vivente ad essere stato così in grado di “darsi la zappa sui piedi” ed “insozzare il suo nido” (White, citato nel testo). Ma si tratta di una dipendenza, allo stato attuale, non specificatamente chiarita all’interno della cultura di massa della società mondiale urbanizzata, che, agli attuali livelli di standard culturali, non sa nemmeno dove vive, riferendosi alla propria condizione bio-ecologica nel mondo. Certamente un rilievo considerevole è determinato dai media, come definito all’interno del rapporto State of The World 2010 del Wordlwatch Institute. Ma le responsabilità sono chiaramente multidimensionali e un peso rilevante è sostenuto dal radicamento storico di determinati processi culturali. “Profondo verde” ricompone le fila di questo percorso: interessante soprattutto il fatto che la matrice concettuale del testo, ripercorrendo la trama del percorso etico, filosofico e scientifico del pensiero umano nel rapporto con la natura, è costruito su di una prospettiva equilibratamente culturale, non soffocata da una trattazione di un monolinguismo specialistico, proprio di molti altri testi. Non ricostruisce, inoltre, un percorso storico in qualche misura fine a sé stessa: infatti l’obiettivo centrale del testo, nel fare “filosofia d’occasione”, è chiaramente bio-politico, ovvero teso a ricostruire l’autocoscienza dell’uomo nei confronti del suo agire e del suo percorso (potere?) nel mondo. Dall’età antica e dal furore antropocentrico innescato dal pensiero cristiano al meccanicismo deterministico dell’età della scienza e dal il Secolo dei Lumi, la prospettiva biocentrica del pensiero occidentale nei confronti dell’ambiente si plasma nel tempo a partire dalle matrici scientifiche e filosofiche più organicistiche (forse a partire con la precipua ecologia organica, contrapposta al pensiero meccanicistico). L’evoluzione concettuale del pensiero ecologico viene portata avanti da pochi nei confronti di molti, fino a giungere al confronto tra il movimento della Deep Ecology (Ecologia Profonda, filosofia fondata nel 1972 dal norvegese Arne Næss) e il movimento della descrescita conviviale, il cui esponente principale è oggi Serge Latouche. La realtà dei fatti è che oggi il grado di consapevolezza ecologica da parte della popolazione urbana del mondo è piuttosto basso (misurabile tramite un test proposto da Devall e Sessions in Ecologia profonda) e l’ecologismo è ancora ben lungi dal far parte della cultura di massa. Pare in buona parte vero il fatto che l’azione ecologista come quella pacifista sia propria agli asceti, ai valorosamente puri e a chi in definitiva non è di questo mondo (così Langer, citato nel testo). Tuttavia le cose si modificano rapidamente nel tempo, a livelli di coinvolgimento diverso. Il tema centrale, certamente, è come rendere consapevoli e partecipi le persone.
Alberto Di Gioia