Il programma europeo Leader, giunto ormai a metà della sua quarta programmazione, interessa in Piemonte tutte le comunità montane e gran parte dell’area collinare, coinvolgendo quindi la quasi totalità delle aree marginali piemontesi. Il problema è che non si tratta di un programma pensato specificatamente per tali aree, ma è destinato al sostegno dello sviluppo delle aree rurali della Comunità Europea. Una sfumatura? Non proprio. Si tratta invece di una questione sostanziale, e che sta facendo venire al pettine molti nodi irrisolti dell’intera “gestione Leader”.
Nelle passate programmazioni, l’approccio Leader si è rivelato efficace soprattutto in merito ad alcune delle sue caratteristiche principali. Innanzitutto, la possibilità per un dato territorio di darsi una propria strategia di sviluppo, individuata coinvolgendo gli attori locali, si è rivelata particolarmente efficace sia perché maggiormente condivisa, sia perché le misure di intervento possono essere mirate su specifici fabbisogni locali. Questa specificità si traduce poi, concretamente, nella possibilità per i Gal (Gruppi di azione locale) di predisporre dei bandi di finanziamento altrettanto mirati su attese, progetti e obiettivi delle imprese locali, oltre a consentire un rapporto diretto, immediato e continuo tra le imprese e chi eroga il finanziamento, cioè gli stessi Gal.
Naturalmente essendo un programma che utilizza fondi della Comunità europea, ne deve rispettare le regole in materia principalmente di trasparenza, concorrenza, ammissibilità delle spese e dei soggetti beneficiari, ricadute pubbliche dei fondi utilizzati, sostenibilità ambientale e sociale degli interventi, coinvolgimento e partecipazione dell’insieme della popolazione locale. Queste regole non sono particolarmente vessatorie, piuttosto rappresentano un sistema di riferimenti che guidano l’azione locale. Sempre che il territorio abbia caratteristiche di ruralità tali da poter sfruttare appieno le opportunità offerte dal programma, caratteristiche che la montagna non sempre possiede. Infatti, soprattutto nelle aree più marginali della montagna piemontese, la rarefazione di popolazione e di imprese, le dimensioni ridotte e la fragilità delle economie aziendali, la scarsità di imprenditori giovani e disposti all’innovazione, rendono l’approccio Leader difficile, un po’ elitario, molto selettivo.
Peraltro Leader è selettivo di per sé, perché premia l’eccellenza di interventi esemplari, innovativi, capaci di ricadute che vanno al di là della singola azienda o dell’investimento puntuale.
In ogni caso, seppure Leader sia un programma “difficile”, si è riusciti nelle passate programmazioni a operare con una certa efficacia stirando le maglie e le regole, spingendo e costringendo gli interventi, riuscendo a mediare tra indicazioni generali e obiettivi locali, con un lavoro faticoso, ma anche entusiasmante, puntuale e creativo. In Leader II e Leader+ i Gal hanno fatto i salti mortali, riuscendo anche nelle aree montane a svolgere la funzione a cui sono chiamati, cioè quella di connettore e contenitore allo stesso tempo. Connettore per il ruolo di mediazione tra le indicazioni comunitarie regionali e le attese del territorio. Contenitore perché inclusivo non solo delle esigenze delle imprese, ma anche delle loro problematiche amministrative, gestionali, finanziarie. Naturalmente non sempre è stato possibile superare tutti gli ostacoli, però la possibilità di contatto diretto con le imprese e, soprattutto, la relativa velocità nell’erogazione dei contributi, hanno permesso di risolvere molti piccoli e grandi problemi, dalla difficoltà nella compilazione delle domande, agli intoppi amministrativi, alle difficoltà oggettive nel rispetto dei tempi, al problema dell’esposizione finanziaria.
Ora però capita che l’inserimento del Leader nel Piano di sviluppo rurale (Psr) della Regione Piemonte, se ha sicuramente una sua logica e coerenza, poiché si tratta di un programma di sviluppo rurale, ha reso praticamente impossibile questo ruolo acrobatico, ma funzionale, dei Gal.
Innanzitutto la possibilità di manovra nell’elaborazione di bandi e progetti si è ridotta drasticamente, perché il Psr ha misure molto rigide con scarsissimi margini di manovra. In molti casi i Gal finiscono con predisporre bandi che sono pressoché analoghi a quelli pubblicati dalla Regione sull’insieme del territorio rurale e che perciò non possono tener abbastanza conto dei limiti oggettivi delle imprese e del territorio montano. Le procedure amministrative sono diventate molto più complesse e pesanti, costringendo i Gal a una funzione prettamente burocratica che mal si armonizza con la varietà dei problemi del territorio e l’esiguità delle strutture a disposizione. Possiamo tranquillamente dire che il personale del Gal impiega la maggior parte del tempo in pratiche burocratiche invece che in contatti con le imprese e con il territorio.
Ma a parte l’eccesso di formalizzazione delle procedure, francamente eccessivo e spesso assolutamente ingiustificato, sono almeno due le “novità” che hanno praticamente azzerato il valore aggiunto del programma Leader: l’esclusione dei Gal dalla gestione finanziaria del Piano di sviluppo Locale, con il relativo allungamento i tempi di pagamento, che mette le imprese in seria ed evidente difficoltà, e l’obbligo di compilazione “in linea” della domanda prima della consegna cartacea al Gal. Per cui capita che non tutti gli imprenditori, soprattutto quelli meno giovani e competitivi, siano avvezzi all’uso di internet o del computer, soprattutto perché in molte aree le connessioni viaggiano ancora a velocità di pecora, per cui alla maggior parte non resta che rivolgersi a qualche professionista o alle associazioni di categoria. Con buona pace di quell’umano ed efficacissimo contatto diretto tra il Gal e le imprese.
Se tra la struttura del Gal e chi chiede il finanziamento si è alzata una barriera di carta e di siti internet, qualcuno potrebbe osservare che si è guadagnato in trasparenza e obiettività delle procedure. Ma personalmente non credo ce ne fosse bisogno. In tanti anni di Leader posso dire di non aver mai visto atteggiamenti scorretti o “furbeschi” da parte delle imprese, ed ho invece colto molta determinazione e passione imprenditoriale, molto orgoglio, molta voglia di far le cose per bene. Qualità diffuse nell’imprenditoria montana, sicuramente caratterizzata da tenacia ed eroismo aziendale, certamente meno da malizia. Qualità che per essere sostenute richiedono elasticità e possibilità d’intendersi, non formalità burocratiche. Le regole ci vogliono e nessuno le vuole contestare, ma, almeno nell’ambito di un programma così “relazionale” com’è Leader, si dovrebbero poter far funzionare più con una stretta di mano che con una procedura informatica. Soprattutto in quei territori, come la montagna piemontese, dove la credibilità personale e le relazioni sociali hanno ancora un valore assoluto e caratterizzano profondamente anche la credibilità dell’impresa.
Marinella Peyracchia