E’ tutta in salita la strada che i Comuni si trovano a percorrere per adempiere alla legge regionale 11 del 2012, che ha previsto il riordino delle Comunità montane e la loro trasformazione in Unioni montane di Comuni. In salita e piena di curve. I nuovi soggetti istituzionali, capaci di aggregare i Comuni (obbligati quelli sotto i 3.000 abitanti a generare Unioni o convenzioni), avrebbero dovuto nascere in questi mesi e soppiantare le Comunità montane, liquidate da fine dicembre 2012. Così non è stato. A otto mesi dall’approvazione della legge varata dall’assessore Maccanti in Consiglio regionale, sono solo quattro le Unioni montane già costituite in Piemonte. Le altre sono in fase di gestazione, con i Comuni intenti a definire lo Statuto, le modalità di governance del territorio, le funzioni da gestire in forma associata, le complesse questioni burocratiche della macchina pubblica.
Di Unioni montane, dovrebbero nascerne almeno 30, per 400 Comuni montani in totale. Solo due in Piemonte si ricostituiranno sul perimetro esatto delle precedenti Comunità: la Valsesia e la Valle Elvo. Finora 150 Comuni hanno invece optato per lo strumento delle convenzioni, considerato più snello. Negli ultimi due mesi è proseguita la mappatura del territorio da parte della direzione Enti Locali della Regione Piemonte. Ma a scendere direttamente sul territorio per capire dinamiche e assetti sono stati i neoassessori Gianluca Vignale (Economia montana) e Riccardo Molinari (Enti Locali). Il 5 aprile, hanno incontrato i 22 presidenti di Comunità montane che hanno ribadito la necessità di garantire l’operatività degli enti sino alla conclusione dell’atto di liquidazione. Prima dello scioglimento delle 22 Comunità montane (dopo appena tre anni di vita), dovrà essere completato il passaggio di servizi, beni e personale verso le nuove Unioni montane. Non una proroga, ma la necessità di non far mancare al territorio servizi indispensabili come trasporti, sgombero neve, socio-assistenza, protezione civile, polizia municipale. Non solo. I presidenti hanno ribadito agli assessori l’importanza, nella trasformazione degli enti, di non disperdere 40 anni di storia delle Comunità montane e di non vanificare il lavoro svolto negli ultimi anni per i progetti di sviluppo socio-economico del territorio, anche a livello europeo e transfrontaliero. «Più che una proroga dei tempi di scioglimento previsti dalla legge – spiegano Vignale e Molinari – le Comunità montane hanno invitato la Regione ad assumere un ruolo di guida nell’avvio delle Unioni, aprendo subito un tavolo di lavoro. Stiamo vagliando tutte le ipotesi normative e gestionali finalizzate a sostenere le Comunità montane in questa laboriosa fase di trasformazione. L’obiettivo è permettere agli amministratori locali di vedere nella legge regionale 11 del 2012 un’opportunità di sviluppo». Anche sulla nomina dei commissari, rispetto alle iniziali previsioni e ai termini di legge, si assiste a un ritardo. Non è ancora uscito il bando che dovrà individuare i soggetti idonei, che la Regione andrà poi a ripartire sul territorio. In una nota inviata alle Comunità montane a metà maggio, è stato chiesto dalla Regione ai presidenti di agire direttamente per ripartire risorse attive e passive verso le Unioni e le convenzioni (o anche i Comuni singoli) che nasceranno dalla trasformazione delle Comunità. Un processo non semplice che però, secondo gli assessori regionali, dovrebbe lasciare maggiori margini operativi e decisionali al territorio, senza imporre soluzioni con un commissario esterno. Altro nodo ancora da sciogliere, quello dei finanziamenti. Definita nel bilancio regionale 2013 la copertura per le 430 unità di personale degli enti sovracomunali (13 milioni di euro), un altro capitolo (per 2,5 milioni ca.) andrà a finanziare le attività per lo sviluppo del territorio e cofinanziare bandi di progetti comunitari. Molti presidenti di Comunità montana hanno però rilevato la necessità di correggere quanto previsto dalla legge 11 e cioè che questi fondi vadano direttamente ai 553 Comuni montani e non alle Unioni montane che li aggregano. «Il rischio – spiega Roberto Colombero, presidente della Comunità montana Valli Grana e Maira e sindaco di Canosio – è la polverizzazione, come già avvenuto con il milione di euro del fondo nazionale montagna del 2010 ripartito direttamente ai Comuni con situazioni comiche: Ingria, 47 abitanti, ricevette 40 euro, mentre Pinerolo (neanche più montano) quasi 20 mila». Di finanziamenti e riparto del fondo regionale si dovrà parlare nel tavolo tecnico-politico previsto dagli assessori Vignale e Molinari, per far sì che non si interrompa l’attività degli enti e si possano finalmente approntare nuovi “piani di sviluppo” del territorio montano, con investimenti, progettualità, accordi pubblico-privati, in grado di generare nuove imprese e flussi economici virtuosi.
Marco Bussone (Uncem Piemonte)
strano paese l’Italia. Per tagliare i costi si aboliscono le Comunità montane che costavano pochissimo e che, se le si fossero fatte funzionare come agenzie di sviluppo (qualcuna già lo faceva), valorizzando le tante potenzialità poco o male utlizzate della montagna, avrebbero fatto crescere i redditi degli abitanti e portato soldi nelle casse dei Comuni in misura di molto superiore ai presunti risparmi della spending review. Ora le nuove unioni o associazioni di Comuni faticano a nascere e molte si preannunciano asfittiche a causa delle insufficienti indicazioni della L.R. 11. Sappiamo che in altre regioni si è stabilito semplicemente di trasformare le C. M. in Unioni di Comuni. A proposito di risparmi, qualcuno in Piemonte, prima di mettersi sulla strada di questa faticosa transizione, ha calcolato quanto sta costando tutto questo alla comunità regionale, ai piccoli Comuni e agli abitanti della montagna, rimasti nel frattempo privi o quasi dei servizi offerti dalle C.M.?