Le Pertiche di Val Sabbia, una splendida quanto poco conosciuta località incastonata nelle Prealpi bresciane, sono già note ai lettori di Dislivelli grazie alla storia di Mariagrazia Arrighini, la cavréra venuta dalla città. Mentre lo spopolamento verso il fondovalle e i maggiori centri cittadini è costante e inesorabile c’è chi, con coraggio, determinazione, un briciolo di amore per il rischio ma soprattutto per la vita all’aria aperta e a contatto con la natura, lontano dai fragori dell’inurbamento, arriva qui per cominciare una nuova avventura. E c’è anche chi, nato in queste terre lasciate per andare a lavorare altrove, decide di tornarci. Sono stati la nostalgia, la voglia di libertà, il richiamo della terra avita, il bisogno incontrollabile di uscire dalle quattro mura dell’ufficio e di lavorare con mani e corpo oltre che con la testa a richiamare in Pertica, per la precisione nei pressi dell’antico borgo di Avenone, Gianfranco Flocchini e sua moglie Anna.
Dopo anni di lavoro come ragionieri in aziende artigianali, stretti tra la morsa della monotonia e del grigiore delle case e delle fabbriche del fondovalle, decidono di mollare e di ricominciare dai loro monti. In verità, mi dice Gianfranco durante una gita con le pelli in Pezzeda, uno dei tanti passi tra le Valli Trompia e Sabbia, «la scelta è stata graduale e ponderata. Erano sei anni che covavo questo desiderio nel cuore. Da un po’ di tempo allevavo qualche capra camosciata e avevo una ventina di arnie con cui producevo, per hobby, miele biologico. Da lì è maturata la mia voglia di vivere di agricoltura». Abbandonata l’idea dell’allevamento di capre perché “non compatibili caratterialmente”, dopo un anno di ricerche e confronti con esperienze simili, ecco, nel 2001, la decisione di fondare un’azienda agricola biologica di piccoli frutti da trasformare in confetture. Il bel fienile famigliare in località Dàse, da cui il nome dell’azienda Biodase, con una vista spettacolare sui monti Tigaldine (1960 m) e Corna Blacca (2006 m), viene in parte sapientemente restaurato e adibito sia ad abitazione che a luogo di lavoro. Già in passato vi crescevano con buoni risultati uva spina, lamponi, fragole, cespugli di ribes: il terreno è buono e l’esposizione solare ideale per queste coltivazioni. La scelta del metodo biologico è stata naturale, dettata dal rispetto per la terra. Ma non solo: le colture effettuate con metodo convenzionale avrebbero ribassato il valore di questi prodotti e non retto la concorrenza di prezzo dei prodotti di pianura, mentre il biologico assicura un notevole valore aggiunto che ripaga i costi e garantisce un reddito altrimenti non garantito. «In montagna il terreno è meno fertile, l’esposizione solare inferiore, i terreni sono in pendenza, i costi di manodopera maggiori. Tanto lavoro è manuale», dice Gianfranco. «Con il bio riesci a spuntare meglio i costi. La coltura biologica di piccoli frutti si può praticare bene in montagna, diversamente dalla pianura dove il terreno è ormai saturo, inquinato dalle monocolture intensive e dall’uso di prodotti chimici».
A Biodase la piantagione di frutti di bosco si estende su 10.000 mq ed è composta da ribes rosso, bianco e nero, lamponi, more, fragole, castagne, sambuco, corniolo, uva fragola. La rosa canina, invece, viene raccolta da crescita spontanea nei paraggi dopo le prime gelate. I frutti vengono raccolti e subito trasformati nel laboratorio aziendale in prelibate confetture dolcificate con zucchero di canna bio oppure con l’aggiunta di succo d’agave bio, caratterizzato da un basso indice glicemico. La lavorazione della frutta avviene nel laboratorio aziendale e il tempo che passa fra la raccolta e la lavorazione è molto breve, così come la cottura: il tutto al fine di preservare le caratteristiche organolettiche della frutta stessa. Biodase è associata a “La Buona Terra”, l’associazione di produttori biologici lombardi, ed è stata essenziale nella guida alle pratiche iniziali, soprattutto burocratiche, per convertire il terreno alla produzione biologica e ottenere la certificazione. E del potenziale ritorno all’agricoltura di montagna, che ne pensi, Gianfranco?, gli chiedo. «L’agricoltura di montagna? È anti-economica, e fatica a reggere la competizione con la pianura. Per questo non ho molte speranze riguardo a un ritorno all’agricoltura in montagna», mi risponde con schiettezza. «I miei colleghi di pianura vendono il 60% della loro frutta fresca. Tante persone vanno in azienda ad acquistare. Se a loro ne vanno venti al giorno, da me vengono venti all’anno. Anche se a me non pesa, in montagna il lavoro è duro, c’è tanto lavoro manuale da fare, ed è precluso l’uso di tanti macchinari. La zona è poco turistica, poco appetibile a livello commerciale. Se si sapesse valorizzare meglio questo territorio, anche le piccole realtà agricole ne gioverebbero».
Ma alla domanda sui pro e i contro della vita di contadino bio rispetto a quella da impiegato, senza esitare mi risponde: «Non ho nessun rimpianto della vita precedente. Ho guadagnato la libertà. È un lavoro molto impegnativo ma posso alzarmi la mattina e decidere cosa fare, senza dover rendere conto a nessuno. I primi tre anni sono stati duri perché non si guadagnava e bisognava continuare a buttar soldi in azienda. All’inizio la gente non capiva la mia scelta e ricevevo parecchie critiche. Non era incoraggiante, specialmente nel periodo iniziale che è stato il più duro. Adesso, invece, quante persone mi dicono: ‘L’hai indovinata giusta!’».
Michela Capra
Info: Az. Agr. Biodase, di Gianfranco Flocchini, Loc. Dase, 25078 Avenone di Pertica Bassa (BS). Tel. 3391959936, biodase@tiscali.it