Voliamo alto, per allargare la visuale e cogliere meglio il tema: “istruzione di qualità per tutti” è il quarto obiettivo per lo sviluppo sostenibile da raggiungere, secondo l’Onu, entro il 2030. Individuato nel 2015 dalle Nazioni Unite e sottoscritto da 193 capi di stato, è così strategico da essere preceduto, in una lista che ne prevede 17, solo dalla lotta alla povertà, dalla sconfitta della fame e dal diritto al benessere e alla salute. Le Nazioni Unite ogni anno verificano il livello di competenza raggiunto dagli studenti, e l’Italia non ne esce affatto bene. I test Invalsi, per discussi che siano, sentenziano che oltre un terzo degli alunni di terza media entra in crisi se deve elaborare le informazioni fornite da un testo scritto. E parlando di adulti, il 45 per cento della popolazione tra i 16 e i 45 anni ha lo stesso limite: è “analfabeta funzionale”, e questo significa non solo che non riesce a costruire un pensiero critico, ma non è in grado di capire il contenuto di un contratto di lavoro, o di qualsiasi altro documento che deve firmare. La scuola è una risorsa che va rispettata, sostenuta, finanziata, estesa a tutte le generazioni. Nell’ambito della Strategia aree interne (Snai) – ma non solo, come vedremo – c’è una fervida progettualità che accomuna territori che vanno dalle Valli Maira e Grana in Piemonte all’Appennino Emiliano, dal Vallo di Diano al Basso Sangro e Matese, fino all’Alta Marmilla in Sardegna e alle Madonie in Sicilia, dove la Rete Scolastica riunisce tutte le scuole dell’area per il miglioramento dell’offerta formativa. Sia le Madonie che le Valli Maira e Grana sono territori pilota per la sperimentazione della Strategia Nazionale Aree Interne, che rappresentano più di due terzi del territorio italiano e un quarto della popolazione. La scuola è un servizio primario, e quando sa sintonizzarsi con le esigenze specifiche del luogo in cui sorge diventa il motore del cambiamento, ed elemento chiave per contrastare la fuga da territori che si vanno svuotando. Problema aggravato dall’invecchiamento della popolazione che davvero ci vive. Fino a due terzi delle persone censite infatti sono residenti solo sulla carta, per motivi fiscali o d’affezione, ma abitano in fondo valle o in città.
Piccole scuole
L’Istituto Indire, storico ente di ricerca che fa capo al Miur e governa, tra gli altri, il progetto Erasmus, ha promosso nel 2017 il Manifesto delle Piccole scuole. Vi hanno aderito finora 207 istituti, per un totale di 981 plessi scolastici a cui fanno capo circa 50mila alunni, tra scuole primarie e secondarie di primo grado. Secondo i dati riportati sul sito piccolescuole.indire.it, sono 8.848 scuole che si possono definire piccole, e vi studiano poco meno di 600mila studenti, di cui quasi 29mila frequentano 1460 pluriclassi. Al di là delle scelte didattiche e dell’isolamento, che le risorse del web possono contribuire a mitigare, ci sono due grossi problemi che affliggono le scuole delle aree interne: la mobilità, cioè i modi e i tempi del trasporto dei ragazzi nel percorso casa-scuola, e la continuità didattica. E’ difficile trovare insegnanti disposti ad accettare il disagio della distanza delle sedi scolastiche, a fronte di compensi notoriamente troppo bassi. E anche quando ciò avviene, entra in gioco la precarietà, che costringe i docenti ad andare altrove e i ragazzi a cambiare spesso insegnanti, penalizzando l’apprendimento. Il progetto Piccole Scuole (promosso sempre dall’Istituto Indire) negli ultimi 3 anni ha agito su vari fronti: permettendo, per esempio, la collaborazione di alunni fisicamente lontani ma avvicinati dal web, valorizzando la professionalità degli insegnanti. Un esempio, il progetto Mar@monti, dove i bambini delle elementari di Favignana sono andati alla scoperta del parco di Beigua, nell’Appennino ligure, passeggiando contemporaneamente ma a distanza con i loro coetanei di Sassello, nell’entroterra di Savona. Fino al 2020, il progetto Piccole Scuole è finanziato dai fondi strutturali europei: le piccole realtà scolastiche assumono quindi il ruolo di avamposto della sperimentazione e dell’innovazione pedagogica. Su questo fronte, dove i nemici da battere sono le resistenze culturali e la mancanza di visione a lungo termine, ci sono comunque numerosi esempi di successo: come la scuola alpina che coinvolge gli istituti Damiani di Morbegno e Alberti di Bormio. Grazie alle risorse del progetto YourAlps, cofinanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, e il contributo dei Parchi delle Orobie Valtellinesi e dello Stelvio, queste scuole hanno messo a punto un modello didattico che investe molto sull’esperienza diretta e combina i programmi scolastici con la trasmissione del sapere formale e informale delle persone che custodiscono il patrimonio culturale delle comunità.
Esempio Valle Grana
Tornando alla Snai, c’è un caso che ben rappresenta cosa si può fare stringendo il legame tra scuola e territorio e investendo nel futuro. E’ la scuola di Valle a Monterosso Grana. Siamo in pieno territorio occitano, in una piccola valle che insieme alla vicina Val Maira è rimasta ai margini dello sviluppo distruttivo degli anni tra i ’60 e gli ’80. Anche grazie a questa assenza è diventata un luogo del cuore per turisti che cercano atmosfere ed emozioni autentiche. La scuola di Valle oggi raduna 90 ragazzi del primo ciclo della scuola primaria, che arrivano sia dalle borgate dell’alta valle che da Caraglio, a fondo valle, proprio perché l’offerta formativa è di alta qualità. L’edificio è ad alta efficienza energetica, luminoso e accogliente, e funziona dal 2013. «Mi vanto di aver firmato il mutuo della scuola di Monterosso: gli unici soldi non sprecati sono quelli spesi per la scuola», dice Roberto Colombero, 42 anni, veterinario e allevatore, fino allo scorso febbraio sindaco del piccolo comune di Canosio, 93 anime, ed ex presidente dell’Unione montana valli Maira e Grana. Sposato con un’insegnante, è padre di un bimbo di 16 mesi, uno dei pochi nuovi nati della zona, iscritto all’unica materna pubblica della zona, a Dronero. Sul versante dell’innovazione quest’anno la scuola di Valle punta sul progetto “robotica in montagna” – qui non ci sono problemi di scarsa connessione web – cofinanziato dal Comune di Monterosso e da una ditta del territorio. Sono stati stanziati 10mila euro per l’acquisto di kit per la robotica adeguati agli alunni delle 5 classi e la formazione degli insegnanti. Dietro questa storia di successo c’è un processo di costruzione di fiducia, un approccio collaborativo alla soluzione dei problemi, poco praticato in questi territori.
Progetto Valle Maira
In Valle Maira Snai prevede la costruzione di un polo didattico per le elementari e le medie a Prazzo, il centro più importante della valle dove sono già presenti altri servizi essenziali: l’ambulatorio medico, la farmacia, il distributore di benzina. La scuola primaria e secondaria di primo grado utilizzerebbe parte di un grande complesso di caserme abbandonate, che il comune ha recentemente acquisito dal demanio. Nel progetto originario – un polo che aggreghi al posto di più realtà sparse – è previsto l’abbandono del convitto Alpino di Stroppo, fondato negli anni ’50 come luogo di formazione per i mestieri della montagna. Ma l’edifico, commenta Roberto Colombero, potrebbe facilmente avere altra destinazione. Gli allievi oggi sono 35, di cui 8 convittori, che vivono in un ambiente confortevole e protetto. Ben 20 ragazzi arrivano da Caraglio, perché la scuola offre servizi di qualità: la mensa, il tempo pieno con attività fino alle 17. Con la nuova amministrazione dell’Unione Montana, insediata ad agosto, è riemersa una forte resistenza a “perdere” questa scuola per investire la maggior parte delle risorse a disposizione, in tutto 11 milioni di euro, nel progetto del polo scolastico di Prazzo. Progetto che però non è affatto tramontato, secondo il nuovo presidente dell’Unione Montana e sindaco di Macra Valerio Carsetti, manager prossimo alla pensione che ufficialmente vive a Arese, vicino a Milano, ma è fortemente radicato in Valle – sua moglie è di Macra. «Tutti siamo d’accordo sulla didattica di eccellenza, un vero motivo di attrazione per le giovani famiglie. E’ la sfida più importante che abbiamo tra le mani, ma è difficile spiegare alla gente che chiudiamo il convitto Alpino, un luogo d’eccellenza dove abbiamo speso più di 2 milioni e mezzo di euro. Ma con altrettanta forza diciamo che il polo comprensivo ci interessa». Per tenere insieme entrambe le scuole le idee e i contatti sono tanti, continua Carsetti, che ha ben chiaro come la montagna nell’epoca della crisi climatica, abbia tutte le carte in regola per smettere i panni di Cenerentola e diventare luogo ambìto per abitare, per la qualità della vita che può offrire. «La prospettiva al momento è questa: il convitto Alpino sarà mantenuto, il polo didattico di Prazzo sarà sviluppato, ma ospiterà anche un centro di formazione professionale e un piccolo polo universitario dedicato ai mestieri tradizionali della montagna, su modello dell’Università della Montagna di Edolo». L’altro filone è più tecnologico: si sta lavorando in questa direzione d’intesa con il Politecnico di Torino e la multinazionale Bitron che produce componenti elettroniche e ha una sede a Dronero: l’ipotesi è fondare un centro di ricerca e sviluppo nel settore della meccatronica. Non manca l’investimento nella gastronomia, si sta dialogando in merito con l’università di Pollenzo. «Ci crediamo, ci stiamo impegnando – conclude Valerio Carsetti -.Vedremo se ci saremo riusciti tra 5 anni, quando si valuterà il nostro operato. L’obiettivo è puntare sull’eccellenza didattica, solo così riusciremo ad attrarre nuove, giovani famiglie. Perché sono loro il futuro di questi territori».
Claudia Apostolo