Stiamo assistendo a un’immigrazione nuova, diversa rispetto agli anni passati. Ci troviamo tutti i giorni a scontrarci con l’immaginario di chi lascia il proprio Paese e i propri affetti per ragioni diverse: dalla carestia alla fame, alle guerre. Ci scontriamo inoltre con una popolazione montana, quella di Pettinengo (Bi), un paese di 1500 abitanti a 800 metri di altezza dove fino a qualche anno fa c’erano poche famiglie di immigrati marocchini e dove circa 600 persone lavoravano alla Liabel, l’industria tessile il cui marchio è divenuto famoso negli anni ’80 per la maglieria intima. Dal 2000 la fabbrica è stata chiusa, la crisi ha prodotto disoccupazione, il territorio è cambiato. Pettinengo non è un paese virtuoso, è un paese montano come tutti gli altri, ma alla fine l’ospitalità ha prevalso sull’ostilità iniziale, l’accoglienza sulla paura.
Oggi l’associazione Pacefuturo Onlus, che dal 2006 ha la sua sede a Pettinengo in una villa dell’800, gestisce una settantina di richiedenti protezione internazionale nei Comuni di Pettinengo e Ronco Biellese in collaborazione con l’amministrazione comunale e la parrocchia. Nel 2011, con la prima ondata di accoglienza africana, abbiamo accolto una cinquantina di profughi per circa due mesi. E noi li abbiamo ospitati proprio in questa villa appena restaurata, Villa Piazzo. Nel 2014 la Prefettura ci ha chiesto di accogliere altri migranti. Avevamo già una struttura per i disabili, c’era quindi un humus abbastanza importante e favorevole all’accoglienza. Nel 2014 abbiamo aperto un Centro di accoglienza straordinaria (Cas) con 15 ragazzi e adesso siamo arrivati a 70. L’accoglienza di profughi è molto complessa sotto tutti i punti di vista e va affrontata con molta attenzione e professionalità: non è sufficiente, anzi è proprio controproducente nel lungo periodo, la logica del buonismo.

Di formazione sono ingegnere ma ho sempre lavorato in Africa in progetti di sviluppo e da vent’anni mi occupo del terzo settore. Qui a Pettinengo è stata fatta un’analisi molto dettagliata come se fossimo stati in un progetto in Africa. Abbiamo accolto i profughi nella casa più bella del paese. Abbiamo cercato di valorizzare le risorse umane locali poco specializzate ma con un elevato bagaglio di esperienze umane in parte simili ai ragazzi accolti: siamo una trentina di persone di cui 15 dipendenti tutti di Pettinengo.
La nostra è “l’azienda” più importante attualmente del paese, se posso usare questo termine. Noi ridistribuiamo nel paese oltre 50mila euro al mese, tra stipendi, vitto e alloggi affittati dovuti ai servizi che svolgiamo a favore dei richiedenti asilo. Questo è il nostro modello di accoglienza e sta funzionando bene. Ma dobbiamo sempre sottolineare che l’accoglienza è un diritto e non un dono, perché si riferisce alla Convenzione di Ginevra del 1951 e alla Convenzione di Dublino del 1990. Il termine “integrazione” noi tendiamo ad usarlo con molta attenzione: mia nonna, che ha passato oltre 80 anni qui in Piemonte, parlava ancora in dialetto Veneto e probabilmente la notte sognava ancora i verdi pascoli dell’altopiano di Asiago.
La ricchezza sta nelle persone, nella loro cultura, nelle loro radici e in poco tempo abbiamo avuto la fortuna di portarci in casa la contaminazione e la condivisione. Chi di loro ha colto la bellezza e la possibilità, ha fatto in modo di esserne coinvolto da subito, diventando parte attiva del progetto, provando a ricambiare l’accoglienza con la propria dote culturale, senza farsi sopraffare dalla delusione di non trovare lavoro e denaro facili, come l’illusione li aveva smossi dalla loro terra.
Per quanto è possibile, cerchiamo di valorizzare al meglio tutte le risorse umane presenti e di sviluppare la creatività nel nostro modello di accoglienza: per esempio grazie alla collaborazione con un’associazione di Pettinengo La Piccola Fata e Tessituraeoltre di Asti abbiamo aperto una scuola di artigianato che insegna a tessere, a cucire e a lavorare la ceramica. Abbiamo anche un laboratorio di apicoltura nel quale proprio uno dei richiedenti asilo, cui nel frattempo è stato riconosciuto lo status di rifugiato con un permesso di cinque anni, è stato assunto da Pacefuturo. Per quanto riguarda la montagna, noi abbiamo riaperto oltre 15 chilometri di sentieristica, grazie al lavoro di volontariato dei migranti.
Stiamo costruendo giorno per giorno un tessuto forte e prezioso, dove vediamo crescere entusiasmo e collaborazione, dove la diffidenza lascia il posto alla vicinanza e alla voglia di conoscere, dove un paese di collina, balcone del Biellese, vede camminare per le sue strade giovani africani che vanno al lavoro la mattina, che si recano ai laboratori specialistici, che studiano l’italiano, che iniziano a vivere nelle case delle persone con le persone per aiutare e che hanno come punto di riferimento la villa in cima alla collina, da dove l’idea di questa accoglienza è nata.

La nostra villa più bella, contornata dal parco che è una gioia per lo sguardo, dove si celebrano matrimoni, dove si tengono convention, incontri, musica, dove ci si ferma a mangiare o a dormire nei percorsi francigeni, dove ci si trova semplicemente anche solo a chiacchierare rimirando la pianura padana e l’arco alpino, in uno spettacolo a 360°, possiede al suo interno il cuore che pulsa e mette in circolo buoni pensieri, innovativi progetti e nuove visioni di un mondo che tutti insieme possiamo costruire o cambiare. Sappiamo che la montagna è restia ad accogliere lo straniero, il diverso, ma quando si riescono a superare queste barriere si scopre un mondo nuovo che stava proprio al di la dell’angolo.
È accaduto proprio nel luglio 2015, quando un gruppo di maliani ha ricevuto il decreto di espulsione: l’intero paese di Pettinengo, compresi Sindaco e Parroco, si è mobilitato per cercare soluzioni alternative, perché ormai facevano parte integrante della comunità di Pettinengo. La strada da fare è tanta e la montagna può “offrire” molto in termini di accoglienza e di lavoro, certo sarebbe ora che anche la politica facesse la sua parte.
Andrea Trivero, direttore Associazione Pacefuturo Onlus, Pettinengo, Biella

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