“Greta per il pianeta” è l’urlo di migliaia di ragazzi che ogni venerdì si trovano insieme in tutte le piazze d’Italia e del mondo per esprimere la loro rabbia e la loro preoccupazione per i cambiamenti climatici in atto. Si rivolgono a tutti noi e alle istituzioni per chiedere provvedimenti urgenti e un cambiamento radicale che porti a una società senza combustibili fossili. E le istituzioni cosa fanno? A parole sono con i ragazzi di Fridays for future ma nei fatti poco o nulla sta cambiando. Almeno in Italia. E i parchi? Sono sensibili all’invito di questi ragazzi? Possono diventare il luogo privilegiato dove poter sperimentare e avviare questa sfida?
Negli ultimi anni i parchi non godono di grande salute, mancano secondo molti una visione e una politica generale di indirizzo e spesso le iniziative sono lasciate alle singole realtà. Ma già alcuni anni fa Giuliano Tallone, professore a contratto di Diritto di legislazione ambientale e già direttore dell’Agenzia regionale dei Parchi del Lazio, proponeva di ripartire dai contenuti per rilanciare una politica delle aree protette, far capire come i parchi possano avere un ruolo centrale nell’affrontare i grandi problemi ecologici del nostro tempo: i cambiamenti del clima e la perdita di biodiversità.
Il tema della conservazione della biodiversità è da sempre al centro delle politiche dei parchi, o almeno dovrebbe esserlo, e il ruolo delle aree protette è cruciale. Lo conferma il grande biologo americano Edward Wilson che propone di trasformare metà della Terra in una riserva naturale per salvare l’80 per cento delle specie viventi.
E sui temi dei cambiamenti climatici, e più in generale sulla ricerca di nuovi modelli di futuro sostenibili? Qualcosa si sta muovendo, anche se con iniziative troppo spesso localizzate. Due esempi.

A ovest delle Alpi le Aree protette Alpi Marittime, il Parco fluviale Gesso Stura e i vicini parchi francesi degli Ecrins e del Mercantour, insieme alla Regione Piemonte e all’Unione dei comuni di Langa e Barolo, stanno per concludere un progetto europeo Alcotra Italia-Francia dal titolo “Il clima cambia, cambiamo anche noi” che mira ad arricchire la conoscenza sugli effetti dei cambiamenti climatici nell’area transfrontaliera, per poi comunicarne i contenuti al più ampio pubblico e innescare azioni a catena nella consapevolezza che anche le piccole comunità locali sono in grado di influenzare i cambiamenti climatici e che l’adozione di comportamenti virtuosi a livello locale possa portare al miglioramento globale del sistema.
A est invece è stato realizzato qualche anno fa il progetto transfrontaliero Italia-Slovenia “Climaparks” che ha visto come protagonisti i parchi italiani delle Prealpi Giulie, delle Dolomiti Friulane e del Delta del Po insieme ad alcune aree protette della Slovenia, con l’obiettivo di evidenziare gli effetti dei cambiamenti climatici sui parchi e definire un ventaglio di strategie gestionali che possa diventare un riferimento per l’intero territorio.
Molto più recente è l’iniziativa del ministero dell’Ambiente, forse la prima a livello più generale in questo campo, che la scorsa estate ha lanciato la campagna “#ParchixilClima e la biodiversità” mettendo a disposizione per tutti i parchi nazionali italiani 85 milioni di euro (78.131.884,70 quelli effettivamente stanziati) per interventi di riduzione delle emissioni di CO2 e di adattamento ai cambiamenti climatici. Tra gli interventi previsti opere per il contenimento del rischio di esondazione, rinaturalizzazione delle aree costiere, ripristino di habitat ed ecosistemi, conversione degli immobili con efficientamento energetico; acquisto di auto e motoveicoli ibridi ed elettrici, realizzazione di nuove piste ciclabili e aree di sosta di sharing mobility e molto altro ancora.
Ma i parchi possono fare molto di più. Occorre che prendano coscienza del loro ruolo e delle loro potenzialità, che diventino realmente “laboratori di futuro”, ovvero luoghi ideali a verificare la sostenibilità di nuovi modelli di sviluppo. Le aree protette sono luoghi speciali, unici, “controllati”, una sintesi tra ambiente umano e ambiente naturale, ed è qui che è possibile avviare quel cambiamento radicale ormai necessario, per esportarlo poi ovunque.
Lo scorso mese di dicembre il presidente di Federparchi Giampiero Sammuri, in occasione di un bilancio sulle politiche dei parchi, ha dichiarato che il 2020 sarà l’anno dei Parchi per il Clima, con un percorso complessivo di azioni rivolte a un turismo sostenibile, alla mobilità dolce, agli acquisti verdi, ai parchi plastic free, e tanto altro ancora. Auguriamoci che tutto questo non sia solo ancora una volta uno slogan ma un vero impegno, condiviso con il Ministero, le istituzioni e gli Enti Parco, affinché veramente le aree protette possano diventare protagoniste nel tracciare una via possibile per un nuovo futuro.
Stefano Camanni