Il documentario “Paesaggio rifugio. Visioni e incontri da un altrove alpino” di Andrea Colbacchini e Michele Trentini è stato presentato in anteprima internazionale nella sezione Orizzonti Vicini della 71esima edizione del Trento Film Festival, in programma a Trento dal 28 aprile al 7 maggio 2023. Il documentario è una produzione di Tsm|Adm-Accademia della Montagna e pone uno sguardo profondo sui rifugi alpini, indagando la loro natura e le loro funzioni tra passato, presente e futuro.
Colbacchini e Trentini danno vita a un prezioso documento visivo in cui gli affascinanti scenari delle Dolomiti, patrimonio dell’UNESCO, si alternano alle voci di rifugisti, escursionisti, antropologi, architetti e scienziati, che riflettono e si interrogano sui modi di vivere il rifugio e la montagna, per comprenderne origini, significati e sviluppi. Il titolo del documentario pone l’accento sul concetto di paesaggio alpino, che per un numero crescente di persone (turisti, escursionisti, scalatori, guide alpine, ricercatori) rappresenta una sorta di “fuga” dalla quotidianità e dagli ambienti urbani. Intorno ai rifugi, i registi si focalizzano pertanto, oltre il limite dei territori antropizzati, sui suggestivi “paesaggi dell’inutile”, che sempre più numerosi frequentatori delle montagne desiderano raggiungere, ammirare e immortalare. In questa prospettiva, i rifugi svolgono un ruolo fondamentale per l’accesso e la fruizione dell’alta e media quota, ma anche per la promozione del paesaggio e della cultura alpina.
Tramite le parole dell’antropologo Annibale Salsa, vengono ricordate le trasformazioni che hanno interessato i rifugi nei diversi contesti montani, partendo dalla semplice capanna, utilizzata originariamente dai valligiani per cacciare gli ungulati, fino alle strutture odierne, più grandi e complesse, sorte con l’avvento dell’alpinismo e del turismo montano, che rappresentano un punto di partenza per raggiungere le vette, oppure un punto di arrivo, per chi sceglie di fare una semplice passeggiata e di ristorarsi all’aria aperta. L’invenzione e lo sviluppo turistico delle Alpi hanno quindi generato nel tempo nuovi bisogni, richiedendo la presenza di strutture, che si affiancano ai luoghi della fatica contadina e del lavoro silvo-pastorale come la malga e la baita, ma che talvolta si discostano dal contesto rurale per ricoprire altri usi, legati al consumo del tempo libero, come l’alpinismo e l’arrampicata.
Il tema dell’accoglienza e dell’ospitalità viene riportato attraverso le parole di alcuni rifugisti, che rimarcano la valenza di presìdi territoriali e culturali dei rifugi. A questo proposito nel documentario viene data voce ai gestori di strutture storiche come il Taramelli o il Passo Principe, per andare al cuore di questioni stringenti. I gestori rappresentano dei “fari” in senso culturale e alpinistico. Lassù c’è bisogno di loro non solo per mangiare, bere e pernottare, ma anche per ricordarci che ci sono consuetudini, che permettono a tutti di vivere meglio le esperienze, e regole, che possono salvarti la vita di fronte a una natura imprevedibile. L’accoglienza dei rifugi può combinare l’interesse di un’attività economica con i valori profondi della montagna, caratterizzandosi e distinguendosi per i tratti di essenzialità ed eccellenza, senza essere confusa con quella degli alberghi e neppure con quella dei ristoranti in quota.
Sugli spazi, sulle forme e sui materiali costruttivi viene data voce a un gruppo di architetti e progettisti, che si confrontano sulla costruzione e sulla risistemazione di strutture in chiave tradizionale, quando l’edifico è inserito in un contesto culturale di una montagna antropizzata, oppure in chiave contemporanea, in quegli ambienti alpestri non antropizzati, dove le forme architettoniche sono libere di esprimersi. Dal punto di vista della progettazione, i rifugi rappresentano una frontiera su cui insistere per dare contenuto ad alcune tensioni tra binomi abusati (natura-cultura, tradizione-innovazione, creatività e responsabilità), sia in alta quota dove è possibile “osare” per via di un contesto culturale “limitato”, che in media montagna, dove va ricercata la coerenza con il contesto plasmato dalle attività umane.
Per quanto riguarda la sostenibilità e la gestione delle risorse, ci sono rifugi che promuovono l’essenzialità di spazi, cibo, servizi, e altri che puntano invece a implementare l’offerta di ristorazione e pernottamento. Eppure, le parole di un glaciologo che mostra l’evidenza dei cambiamenti climatici in alta quota, ricordano che la presenza e la frequentazione dei rifugi alpini sono strettamente connesse con i principali problemi ambientali della nostra epoca, come la scarsità delle risorse, la produzione dell’energia, l’uso dell’acqua, gli stili di consumo, il riciclo di rifiuti, l’utilizzo attento delle tecnologie.
La visione del documentario aiuta a comprendere come i rifugi rappresentino un tema di eccezionale interesse storico, culturale, ambientale e architettonico, che può favorire un nuovo modo di pensare la montagna. I rifugi quindi come presidi del territorio di alta e media quota, che offrono ospitalità essenziale ed eccellente e che, caratterizzati da particolari forme e significati, consentono di sperimentare temi urgenti della contemporaneità.
Umberto Anesi