I terrazzamenti agricoli sono tra le forme più antiche ed evidenti dell’azione modellatrice dell’uomo sul paesaggio. Per secoli, attraverso le terrazze realizzate lungo i pendii montani e collinari si sono ricavati nuovi terreni da coltivare, migliorando il deflusso delle acque e la tenuta idrogeologica dei versanti. Oggi i paesaggi terrazzati si sono molto ridotti in estensione e diffusione. Per farsi un’idea, nel 2016 il progetto MAPTER dell’Università di Padova ha stimato la presenza di 169.153 ettari di terrazzamenti ancora riconoscibili nel territorio nazionale; intorno al 1950 erano 200.000 – 300.000.
Ciò nondimeno, là dove continuano ad essere coltivati e mantenuti, i terrazzamenti offrono la testimonianza di un modello positivo di gestione del territorio, riconosciuto a livello internazionale da molte importanti organizzazioni (UNESCO, FAO, Convenzione di Ramsar Alleanza mondiale dei paesaggi terrazzati, Convezione Europea del Paesaggio); un modello in cui biodiversità agricola, ecosistemi, pratiche agricole e identità culturale si sostengono vicendevolmente.
In Piemonte esistono importanti esempi di valorizzazione dei paesaggi terrazzati e dello sviluppo che ne deriva per le comunità locali. Indubbiamente, la rapida espansione economica dei comuni collinari delle Langhe-Roero e del Monferrato trova nel riconoscimento Unesco dei paesaggi vitivinicoli la sua leva propulsiva. Ma anche nei territori alpini si colgono i segnali di una nuova valorizzazione dei terrazzamenti agricoli entro percorsi di sviluppo e sostenibilità. Anche se i vigneti terrazzati costituiscono una porzione marginale della totalità della viticoltura della Città metropolitana di Torino (CmTo) – a esserne interessati sono soprattutto i territori montani di Carema, Pomaretto, Chiomonte e Exilles – da essi possono derivare interessanti opportunità di sviluppo per tutta la CmTo. Il convegno organizzato da Dislivelli sui paesaggi terrazzati dell’alto Eporediese, a partire dall’omonimo progetto, ne è un esempio recente.
I paesaggi vitivinicoli della CmTo
I terrazzamenti non sono dei manufatti di tipo tradizionale. Sono opere vive, che si modificano in risposta delle sollecitazioni esterne (clima, azione antropica, infestanti) e che hanno bisogno dell’intervento costante dell’uomo. In caso contrario, il rischio è quello dell’abbandono e del degrado che già oggi minaccia una porzione consistente di questi paesaggi. Con riferimento al territorio alpino della Città metropolitana di Torino, le interviste condotte da IRES Piemonte nell’ambito del progetto Alcotra ViA-Vigneti alpini mostrano come il degrado delle vigne coltivate a terrazze sia oggi sempre più diffuso, anche là dove esse sono principale elemento di connotazione territoriale e paesaggistica. A Carema come a Pomaretto e a Exilles, modificazioni demografiche e ambientali minacciano la scenografica quinta teatrale che, formata dalla ripida sequenza di terrazze e muretti a secco, incombe, dall’alto, sull’abitato e la viabilità del fondo valle. Qui, secoli di pratiche agricole tradizionali hanno modellato un sistema paesaggistico maestoso e peculiare, ma anche fragile rispetto ai rischi dell’abbandono e dell’obsolescenza. Se non vengono mantenuti, i terrazzamenti diventano spazio libero per la boscaglia e le incursioni della fauna selvatica andando incontro a degrado funzionale, fisico e tecnico. Se non sono curate, le vigne perdono valore economico e estetico e si espongono al rischio di infestanti, che a loro volta minacciano le vigne vicine.
D’altro canto, intervenire e preservare le vigne e l’alto valore culturale incorporato nei paesaggi vitivinicoli alpini non è facile perché, eccezion fatta per la presenza di pochi produttori più grandi, la convenienza economica di queste forme di agricoltura tradizionale, dove non è possibile la meccanizzazione, è in genere bassa. La coltivazione delle vigne interessa piccoli lotti ed è in genere destinata all’autoproduzione o al conferimento. I proprietari delle vigne hanno occupazioni diverse da quella agricola e la viticoltura è portata avanti più per tradizione famigliare che come fonte di reddito. Non sono quindi propensi a vendere i propri terreni, che considerano un retaggio da trasmettere ai figli e, quando a causa dell’età non riescono più a prendersi cura della vigna, è difficile trovare chi li possa sostituire.
La politica ha provato a intervenire con vari tipi di misure per il sostegno delle opere di ristrutturazione dei vigneti, che però si sono spesso rivelate inapplicabili. È il caso di una lunga tradizione di bandi regionali che, nell’indicare i criteri minimi di densità degli interventi ammissibili a contributo, non tenevano conto dell’elevata frammentarietà delle particelle terrazzate, ricavate sui pendii più ripidi, tra cui Carema, le particelle sono quasi sempre di dimensione inferiore. Ma è anche il caso della burocrazia legata ai requisiti e alle certificazioni che regolamentano l’attività del viticoltore, che sembrano complicarsi sempre più.
Fare rete e massa critica a partire dalle comunità del vino
I paesaggi terrazzati identificano un filone proficuo di ricerca e azione politica, che incrocia natura, paesaggio e tradizione, e che necessita di nuove forme di governance. Per salvaguardare i terrazzamenti rispetto alle crescenti minacce socioeconomiche e ambientali a cui sono soggetti, mantenendone l’operatività, non museificandoli, è infatti necessario intervenire sotto molteplici punti di vista (economico, tecnico, ambientale, culturale), mobilitando più tipologie di stakeholder. L’esperienza del progetto ViA-Vigneti alpini da questo punto di vista ha mostrato con chiarezza le necessità di fare rete e massa critica. I terrazzamenti a vite delle vallate alpine di Torino sono un elemento identitario forte, attorno a cui è possibile (e auspicabile) costruire nuovi percorsi di sviluppo. Per fare ciò, è però necessario investire maggiormente per fare rete tra i comuni e gli operatori e costruire progettualità condivise. In un contesto come quello della CmTo, in cui i paesaggi del vino sono spesso frammentati e circondati da aree residenziali e produttive, è utile lavorare per mettere in relazione i terrazzamenti con gli altri asset del territorio, quali componenti di un sistema territoriale che combina i valori della viticoltura tradizionale con quelli della cultura locale, della storia e dell’enogastronomia, e che si propone all’esterno con la forza di un sistema integrato e coeso.
In Carema vivono 742 abitanti, in Pomaretto 969, in Exilles 239: tutti comuni con meno di mille abitanti (i dati sono Istat al 31 dicembre del 2020). Ma attorno a questi comuni ci sono centri e città più grandi – Ivrea, Susa, Pinerolo – con cui è possibile fare massa critica necessaria e posizionarsi nei circuiti dell’enoturismo nazionale e internazionale. Già oggi alcuni coordinamenti intercomunali utilizzano il volano dei paesaggi del vino per costruire progetti condivisi di territorio, ma tendono a focalizzarsi su reti corte, di stretta prossimità. La sensazione è che al di fuori dei contesti più specializzati, la cui immagine esterna è già molto legata all’economia del vino, sia necessario costruire comunità più ampie di attori.
Lavorare sul concetto di comunità, sperimentare processi community building quale strumento analitico e progettuale per lo sviluppo della viticoltura “eroica” è l’obiettivo del lavoro che IRES Piemonte ha condotto nel 2018 per il progetto ViA-Vigneti alpini. Una radicata tradizione vitivinicola è considerata nel progetto la base su cui costruire una specifica cultura del vino, a sua volta “spendibile” in percorsi di crescita economica e sviluppo. A questo fine, il lavoro di IRES identifica due tipi di comunità: i) comunità consolidate, in cui coesistono specializzazione produttiva e paesaggistica e un forte riconoscimento valoriale legato al vino, condiviso da residenti, turisti e visitatori occasionali. In Piemonte l’unica comunità di questo tipo è identificata nella zona di Carema e Settimo Vittone; ii) (proto)comunità o comunità frammentarie/atomizzate, in cui i fattori identitari restano deboli e isolati. Dal punto di vista della loro localizzazione, comunità di questo tipo sono presenti in: 1. Agliè, Cuceglio, San Giorgio Canavese; 2. Caluso, Mazzè; 3. Piverone, Viverone; 4. Bricherasio, San Secondo di Pinerolo; 5. Frossasco; 6. Barge; 7. Chiomonte, Exilles, Giaglione. Sempre tra le protocomunità del Pinerolese si collocano Pomaretto, Perosa Argentina e Perrero, dove a fronte della specializzazione vitivinicola non si accompagna un sistema condiviso di valori. L’auto-riconoscimento nel patrimonio di conoscenze, usanze e commodity della viticoltura alpina è invece il punto da cui muovere perché la salvaguardia dei terrazzamenti non resti un’attività isolata, ma il volano di una diversa relazione uomo-natura, basata su tradizione, innovazione e sostenibilità.
Francesca Silvia Rota (IRCrES CNR), Ludovica Lella (IRES Piemonte)