Anche se è l’aspetto più trascurato, è sempre molto importante valutare gli impatti di piani e programmi. Lo è ancora di più per il PNRR, già definito però come piano senza piano (Barbara Pizzo su RomaRicercaRoma e Alberto Ziparo, pubblicato su Il Fatto Quotidiano e re-indirizzato da SDT ).
Con i suoi 190 miliardi di euro di investimento il PNRR italiano sia la più massiccia dose di investimenti della storia è ormai noto. Tra questi 6,68 miliardi di € sono destinati al capitolo “turismo e cultura“, i cui fondi non sono destinati a ripetersi nel lungo periodo e andranno a definire interi nuovi scenari per difendere in primis il neonato criterio della “transizione ecologica” – per definire meno nuovi concetti di sostenibilità – . Molta enfasi è data alla transizione digitale e a misure fisiche di rinnovamento. E molte realtà di quelle compatibili con questi fondi rientrano in aree rurali e montane, spesso caratterizzate da situazioni negative mono-funzionali se non da condizioni di vera e propria desertificazione demografica ed economica.
La scarsa sostenibilità economica e sociale di molti territori periferici e mono-funzionali turistici misurata per il periodo pandemico (Di Gioia, Dematteis, 2020) ha dimostrato situazioni economicamente e ambientalmente insostenibili che sono già da tempo manifeste, in territori in cui il cambiamento climatico aveva già aperto negli ultimi anni temi di adattamento e di diversificazione economica (rileggi su questo tema il n.108 di Dislivelli.EU “Adattarsi o scomparire“).
Le cartografie climatiche legate alle proiezioni di questo secolo mostrano che ulteriori impatti ci sono e ci saranno in mancanza di adattamento (Figura 1).
All’interno del PNRR italiano nei 6,68 miliardi destinati a turismo e cultura molta enfasi è data alla transizione digitale e a misure fisiche di rinnovamento – l’85% dei fondi -, delineate in più parti come “transizione digitale”, “attrattività”, “sicurezza”, “rinnovamento” e “modernizzazione”. Negli obbiettivi generali compare, al penultimo posto, il “supportare la transizione digitale e verde nei settori del turismo e della cultura”, anche se nei fondi di investimento non ci sono azioni chiaramente rivolte all’adattamento in chiave sostenibile. Tra i fondi con più investimenti 1,79 miliardi sono destinati alla competitività delle imprese turistiche e 2,72 miliardi alla rigenerazione di piccoli siti culturali – indipendentemente da aspetti qualitativi che rendano attrattivi ed abitabili questi territori, oltre che sinergici e in ottica di governance. Sulla base, insomma, dei fondamenti che in Dislivelli abbiamo approfondito a lungo a partire dal progetto “Nuovi Montanari. Abitare le Alpi nel XXI secolo” e nei seguenti “L’interscambio montagna-città”, con la definizione del ruolo della Metro-Montagna. Del resto, su questi temi, è lo stesso Ministro del Turismo Massimo Garavaglia a dichiarare che “nel turismo si erano ottenuti pochi fondi (3,5 miliardi), nonostante rappresenti un quinto del PIL nazionale. Si è pensato pertanto di investire in modo che possano creare un effetto-leva: in sostenibilità edilizia ed efficientamento energetico otteniamo un effetto-leva a 3” (N.d.A. triplicare gli effetti degli investimenti) (intervista del 4.12.2021 a Omnibus sul tema “montagna”). La realtà è che questi fondi sono attribuiti da linee generali e talvolta definiti ambiguamente, in cui moltissime realtà di quelle compatibili rientrano in aree rurali o montane, spesso caratterizzate dalle situazioni negative prima citate, se non da desertificazione demografica ed economica. Inoltre i progetti non sono valutati in modo integrato, considerando gli aspetti sinergici, le economie di scala o, al contrario, le ripetizioni o le azioni in contrasto: azioni fondamentali per valutare l’efficacia di progetti strutturali di lungo periodo, come si diceva in apertura. Dal 13 gennaio di quest’anno per i piccoli Comuni – con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti (cit.) – è stato allestito un servizio di sostegno per l’espletamento dei bandi tramite l’ANAC – l’Autorità Nazionale Anticorruzione -. Perché un problema, tra gli altri, è anche quello dell’importante impegno burocratico, che escluderà molte realtà eligibili solo per questo motivo. Ma il grave rischio in realtà per questi Comuni è quello di investire per ripristini o sviluppi fisico-funzionali a prescindere dalla dimensione socio-economica e dall’istituzione di sinergie di governance – investire ad esempio in ripristini fisici in realtà desertificate in cui progetti locali hanno fallito a vendere abitazioni a 1€ come Carrega Ligure in Val Borbera, o allo stesso tempo in modo isolato in aree mono-funzionali insostenibili, specializzate ad esempio nel turismo stagionale invernale di massa ed inserite in aree a scenari climatici negativi per questo tipo di economie. Con quale criterio si definiscono le qualità progettuali in ottica di transizione per i progetti inerenti la “competitività delle imprese turistiche” per questi casi? Sarà difficile opinare al fatto che luoghi specializzati in economie non-sostenibili come quelle mono-funzionali possano definirsi competitivi. Eppure in Austria, ad esempio, negli ultimi anni si è investito molto nella creazione di laghi artificiali per l’innevamento e questo, a dire dei progettisti, per mantenere competitivo il settore. Insomma: investimenti hotspot in queste aree, indirizzati ad azioni di ripristino o sviluppo fisico-funzionale, vanno incontro al rischio di produrre scarsi benefici o addirittura effetti contrari, una nuova forma di schizofrenia del margine.
E a questi aspetti se ne aggiungono altri. Nella mappatura (Figura 2.) a fonte ISTAT dell’indice di vulnerabilità materiale e sociale (IVSM) utilizzato per individuare le aree ammissibili per interventi di rigenerazione urbana risultano nella soglia “Alto rischio di vulnerabilità” (quindi eligibili per parametro >99) i Comuni di Sestriere, Gravere e Novalesa, in Valle di Susa. Allo stesso tempo dentro la città di Torino superano i parametri critici per “incidenza delle famiglie con potenziale disagio economico” aree collinari di censimento di Cavoretto, Borgo Po e Borgata Sassi – evidentemente dovuto a problemi di dipendenza areale dei dati definiti dal basso numero di famiglie, conseguentemente dipendenti da altri indicatori correlati come la vecchiaia.
Non sono però inclusi in fondi di rigenerazione, in quanto sotto soglia, Comuni come Oulx, Vinadio o Luserna San Giovanni. E l’intera montagna veneta e friulana è senza problemi, in ottica di rigenerazione da PNRR. Ma come ha indicato Filippo Celata dalla Sapienza a Roma risulta eligibile il quartiere dei Parioli.
Insomma gli squilibri sono molti ed evidenti. I progetti sono già avviati ma servono quanto mai strategie territorialmente integrate su temi quali servizi, attrattività sociale, economica e anche demografica.
Alberto Di Gioia