Durante i suoi centocinquanta anni di storia, il Cai si è inevitabilmente e costantemente occupato della costruzione e della gestione di rifugi, bivacchi e presidi d’alta quota di ogni genere per l’appoggio all’attività escursionistica e alpinistica, trovandosi così a custodire progressivamente un patrimonio edilizio e culturale sempre più vasto e significativo.
Per rendersi conto di tale ricchezza è sufficiente sfogliare la “Guida ai Rifugi del Cai: 375 Rifugi del Club Alpino Italiano per scoprire la montagna” che il Cai ha curato in occasione del suo anniversario e che aggiorna la storica opera di censimento realizzata da Franco Bo.

L’epoca di sviluppo estensivo e intensivo dell’addomesticamento della montagna, in cui il club poteva vantarsi di essere «la più grande azienda alberghiera d’Italia», sta progressivamente cedendo il passo ad una fase attenta alle esigenze attuali ma anche più rispettosa nell’interpretare e preservare l’anima originaria del rifugio.
Proprio per indagare il complesso mondo dei rifugi alpini, a Trento dal 21 al 23 marzo scorso, si è tenuto il convegno internazionale dal titolo “Rifugi in divenire: architettura, funzioni e ambiente. Esperienze alpine a confronto”, con rappresentanti di tutte le regioni alpine.

L’evento è stato organizzato da Accademia della Montagna del Trentino con la collaborazione dell’Associazione Gestori Rifugi del Trentino, della Sat, dell’Assessorato al Turismo della Provincia di Trento e infine, quale referente scientifico, dell’Associazione Cantieri d’Alta Quota.
Una sessione della conferenza è stata dedicata proprio al ruolo e alle prospettive delle commissioni rifugi dei vari sodalizi nazionali dell’arco alpino.
In particolare, il presidente della Commissione Rifugi Cai Samuele Manzotti, nel suo intervento ha esposto la strategia del Club Alpino nazionale, ricordandone i caratteri di organizzazione capillare e diramata sul territorio in numerosissime sezioni locali che lo qualificano come ente (extra) alberghiero di primo piano per possibilità ricettiva. Lo spirito della riduzione della pressione antropica sul delicato contesto montano e dell’ottimizzazione delle risorse disponibili si traduce nella massima limitazione di nuove edificazioni, per direzionare invece sforzi e fondi nelle necessità di restauro e recupero, aggiornamento tecnologico e manutenzione, adattamento e sviluppo delle strutture esistenti; il presidio d’alta quota appare infatti generalmente ben garantito dai rifugi e bivacchi in essere, a copertura di gran parte del territorio nazionale e dei flussi che lo percorrono.
Un approccio programmatico a cui sarebbe interessante guardare appare ad esempio quello elvetico: una gestione strategica strutturata e rigidamente dimensionata a fronte dell’afflusso utenza (dove i posti letto corrispondono e non superano i posti per la ristorazione) favorendo un impatto più controllato dell’accesso turistico al territorio montano.
Un concetto trasversale, che risulta centrale anche per le strategie di tutte le altre commissioni europee, è inoltre quello della necessaria spartanità in aderenza all’essenzialità dei caratteri originari dell’ospitalità rifugistica: un obiettivo perseguibile attraverso la delicata mediazione e il filtraggio delle richieste commerciali impellenti – che tuttavia non si possono romanticamente ignorare, soprattutto in territori che hanno nel turismo una linfa vitale – di fette di mercato che vorrebbero sempre più plasmare il rifugio in direzione dei comfort di un hotel di valle.
Alla luce dei centocinquanta anni trascorsi e di fronte alle sfide che ci impongono i temi sociali, economici e ambientali dell’oggi, tutto sembra indicare una significativa e sintomatica riscoperta del valore della sobrietà propria e sostanziale della cultura alpina, di cui i rifugi sono un riflesso diretto.
Roberto Dini, Luca Gibello, Stefano Girodo