Off, ultimo lavoro di Marco Magnone, è un libro dalle molte vesti e dalle molte identità. E’ per certi versi un racconto di viaggio, per altri un diario personale, per altri ancora una mappa. Certo, ciò che vuole essere è una guida, che in certi momenti si rifugia nella forma del romanzo. Volendo andare oltre, Off è anche un insieme di tavole, dipinte dalla mano di Riccardo Cecchetti; un erbario, compilato da Stefano Olivari; un disco, che raccoglie la colonna sonora de “I Fasti” e accompagna la lettura del testo. Non è del tutto semplice muoversi in queste molteplici forme, e infatti Off si presta a diversi livelli di lettura.

Il tema principale del libro sono i luoghi abbandonati, altresì definiti nell’introduzione come villaggi fantasma, paesi abbandonati, rovine. L’autore si muove e accompagna il lettore (anche attraverso un corredo cartografico e pratiche informazioni sul contesto territoriale) in un itinerario tra otto di questi luoghi spersi nel Nordovest italiano tra Piemonte, Liguria e Lombardia: si tratta dei comuni (o talvolta soltanto di frazioni) di Rivarossa, Olmo Gentile, Paraloup, Massello, Pian Gelassa, Valgrisenche, Consonno e Carrega Ligure. Paesi e luoghi che hanno vissuto, specie dal secondo dopoguerra in poi, massicci processi di spopolamento e che hanno sperimentato una progressiva marginalizzazione sociale ed economica, nella maggior parte dei casi facilitata da una localizzazione sfavorevole rispetto alle grandi direttrici dello sviluppo: la città e la pianura. In alcuni casi è stata proprio la mano della modernità ad accelerare la fuga e l’abbandono, inseguendo il mito irraggiungibile del progresso. In Valgrisenche, questo assume la forma di un invaso per la produzione di energia elettrica, che subito si rivela quasi inutilizzabile per la franosità del terreno. A Consonno è incarnato dal progetto della Las Vegas della Brianza, fantomatico parco dei divertimenti che ben presto si avvia verso il declino. A Pian Gelassa, dalle rovine degli impianti di risalita costruiti e poi abbandonati, comuni a tutte quelle località che hanno vissuto ai margini del turismo della neve e delle grandi stazioni sciistiche invernali, raccogliendone le briciole; nulla cambia, ed è la stessa modernità che sembra rifuggire i “luoghi abbandonati”, quasi che il declino sia iscritto profondamente nel loro codice genetico.

Eppure il libro non cade nella tentazione di affrontare il tema dell’abbandono lasciandosi trasportare da un sentimento di nostalgia romantica. Certo, il fascino malinconico e drammatico del vuoto che traspare dalla visita di questi luoghi colpisce immediatamente il lettore, e non potrebbe essere altrimenti. Anche le tavole sembrano a volte abbandonarsi, sconsolate, all’amarezza, quasi a rimarcare la prima impressione che si può avere toccando con mano i segni dell’abbandono. Tuttavia, nel raccontare ciascuna tappa del suo viaggio con uno stile allo stesso tempo evocativo e ricco di informazioni, Marco Magnone riesce a far emergere un elemento cruciale su cui riflettere: l’unicità di ciasun “villaggio fantasma”. Apparentemente, l’aggettivo “abbandonato” suona come un giudizio definitivo assegnato ai luoghi, che sembrano tutti uguali e accomunati da un unico destino e una sola caratteristica: quella dell’abbandono, appunto. Ma è solo apparenza. Ogni luogo ha una sua unicità, un suo racconto, un suo ruolo nella storia dei territori che lo circondano (e talvolta in una storia molto più grande, se si pensa ad esempio a Massello, ultima roccaforte dei valdesi rimpatriati alla fine del Seicento e lì obbligati in una strenua resistenza dalle assedianti truppe franco-piemontesi). Lungi dall’essere terminata, la storia dei paesi fantasma rimane invece “aperta”. Il lettore se ne accorge un po’ a sorpresa, quando legge dei tanti progetti e inizative che comuni e associazioni stanno cercando di portare avanti in molti dei luoghi citati nel libro. Borgate recuperate, nuovi musei ed ecomusei, collaborazioni con enti universitari, sono tutti segni tangibili di una vitalità che non ha abbandonato i territori e che anzi intende (ri)costruire. Non sono che esempi, ma se tale vitalità potrà trasferirsi da questi luoghi ai tanti altri paesi abbandonati del Nordovest e non solo, il loro futuro potrebbe non essere drammatico come sembra.
Matteo Puttilli

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