Nel rapporto Uncem-Censis (2002), “Il valore della montagna”, viene pubblicata una stima del valore aggiunto prodotto nel territorio montano, circa 165 miliardi di euro su base dati 1999. In particolare, si legge che «se la montagna era in grado di produrre il 16,1% del valore aggiunto del Paese con una popolazione corrispondente al 18,7% del totale nazionale, qualcosa andava sicuramente rivisto nelle tradizionali interpretazioni sulla debolezza dell’economia montana». Così già una decina di anni fa, pur tenendo conto delle differenze insite nella montagna italiana, si andava scardinando una immagine di montagna come luogo tradizionalmente fragile, bisognoso di sussidi, poco dinamico, rivelando invece una immagine in positivo della montagna e del suo potenziale.
Attualmente, nonostante l’imminente crisi economica mondiale, pare che la montagna, anche quella più marginale, mostri interessanti segnali di sperimentazione e una capacità auto-imprenditoriale. Dal recente Rapporto sullo Stato delle Alpi realizzato da Cipra ai sempre più numerosi articoli che si leggono sulle principali testate, si evince che c’è un desiderio di rimanere o di muoversi verso la montagna. Un desiderio che si traduce sempre più spesso in un progetto economico tra tradizione e modernità.
Di sicuro oggi gli abitanti delle Alpi, specie se giovani, non rispondono più al vecchio stereotipo del “montanaro”. Per reddito, livelli d’istruzione, abitudini di vita, sistemi di valori e aspirazioni essi non differiscono sostanzialmente dal resto della società urbanizzata. Hanno però a disposizione, a differenza di chi abita in città, un ambiente unico nel suo genere, che oggi può rappresentare un’importante risorsa da valorizzare in modo innovativo, favorendo così l’avvio di processi di ri-territorializzazione della montagna, specialmente in quelle aree che hanno subìto il maggior abbandono nell’ultimo secolo.
Emerge dunque con evidenza la presenza di una nuova o rinnovata classe di montanari, siano essi autoctoni o migrati di recente, che sanno concretizzare con creatività e innovazione quanto espresso nelle strategie per la montagna ai diversi livelli territoriali: essi sperimentano soluzioni nuove per quel che riguarda il patrimonio forestale, il patrimonio idrico e il patrimonio ambientale, reinterpretano la storia e l’identità per ri-avviare mestieri che sembravano perduti o marginali, ri-elaborano antiche tradizioni che altrimenti sparirebbero.

Per fare qualche esempio, c’è il caso delle cugine Erica e Marzia che, da sempre vissute nella borgata di Roure in Val Chisone e decise a non andarsene, hanno avviato un’attività artigianale “Io mangio gofri” che riprende un’antica ricetta culinaria locale e la ripropone con creatività. Le due cugine hanno impiantato un laboratorio in cui preparano parte dei prodotti che vendono in giro per l’Italia sul furgone attrezzato, la “gofreria ambulante”. Oppure il caso di Aurelio Ceresa che risale la montagna per mettere in valore terreni di famiglia e riprendere la passione del nonno, avviando un’azienda agricola all’interno del Parco nazionale del Gran Paradiso che oggi produce formaggi di altissima qualità.

Due esempi di una rinascita della montagna ancora tutta da leggere, che sono in qualche modo diventati portatori di una visione imprenditoriale innovativa della montagna e di una creatività tutta alpina del fare impresa.
Federica Corrado