La Strategia Nazionale per le Aree Interne ha avuto il sicuro merito di portare nelle politiche pubbliche del nostro Paese una innovazione sostanziale, nonostante le non poche criticità incontrate in un percorso per sua natura complesso, che qualche volta è parso però anche inutilmente complicato.
Tra queste, quella di aver inteso il tema dei servizi (di cittadinanza) e quello dello sviluppo (locale) come due facce della stessa medaglia, oggetto necessario della mobilitazione delle soggettività locali e delle attenzioni del sistema regionale e nazionale che volessero convergere verso un unico bersaglio, quello di assicurare condizioni di vitalità e di desiderabilità a territori ricchi di suggestioni ma pieni di strappi e cicatrici nel tessuto delle relazioni umane.
Accompagnare i processi di sviluppo locale è sempre un compito improbo per le politiche pubbliche che per riuscire in un qualche risultato, oltre le loro buone intenzioni, debbono entrare in una sintonia profonda con peculiarità locali e sentimenti radicati, che si esprimono in contesti non molto lontani da quelli delle capitali in cui prendono forma le decisioni.
L’attenzione riconosciuta ai luoghi minori, pur crescente, è ancora marginale nell’agenda dei decisori, frequentemente distolti, per ottime ma contingenti ragioni, dal prestare orecchio ai “territori che non contano”.
La storia delle politiche pubbliche verso i territori “svantaggiati” – come infelicemente definiamo ancora oggi questi territori “minori”, enfatizzando le loro carenze piuttosto che le risorse e i valori che esprimono – è così una storia costellata di sconfitte, anche onorevoli.
Ne sono esempi eloquenti le vicende dei servizi, dalla scuola alla salute, dove le istanze di razionalizzazione della spesa hanno imposto sacrifici drammatici per ottenere frequentemente esiti modesti.
Non sfuggono a questa regola le politiche per l’innovazione per le quali un’elevata probabilità di insuccesso è alle porte anche nelle condizioni ambientali migliori, figuriamoci dove le strutture economiche e lo stesso insediamento umano sono più rarefatte e fragili.
Sostenere l’innovazione dei/nei piccoli comuni è un compito ingrato ma irrinunciabile, non per dovere di testimonianza, ma nella consapevolezza che la grande diversità che attraversa questi luoghi può diventare una risorsa per trovare soluzioni inaspettate lungo linee di ricerca, originali per necessità.

Popolazioni nomadi e politiche radicate.
Siamo di fronte a processi di mobilità territoriale che, come mai nel passato recente, hanno proporzioni gigantesche ed attraversano il progetto di vita di quote rilevantissime della popolazione. Spostamenti e migrazioni che attraversano spazi amplissimi e presentano però caratteri di temporaneità, reversibilità, conservazione dei rapporti.
Un nuovo nomadismo, cosmopolita, acculturato ed esplorante, è riconoscibile nel comportamento delle generazioni più giovani, nello spazio europeo di Erasmus, nella rete delle relazioni tra le città globali, negli stessi flussi che connettono aree interne di contesti geografici distanti come il nostro Appennino e le montagne dei Balcani. Anche nelle connessioni di più breve raggio delle relazioni sentimentali che si fanno impegno e impresa in quelle cooperative di comunità che nei borghi più discosti di Appennino tengono assieme nativi, emigrati, ritornanti e cittadini di adozione.
Per questo, nei piccoli comuni, nelle montagne e nelle aree interne che affrontano una nuova stagione di sviluppo locale le politiche e i servizi debbono saper guardare e parlare a più di una popolazione: c’è quella residente (che non sempre risiede davvero, trascorrendo altrove parti significative della giornata, della settimana o dell’anno); c’è quella presente per frazioni del proprio tempo giornaliero, settimanale o stagionale; c’è quella che si è trasferita altrove ma mantiene relazioni economiche, culturali e affettive assai significative; e c’è quella in ingresso per periodi più o meno lunghi del proprio ciclo di vita che sta esplorando le ragioni e i sentimenti di adesione – anche parziale – ad un luogo. Senza dimenticare che esiste ancora chi nasce, cresce, vive e muore nello stesso luogo, con una certa soddisfazione.
A tutti questi soggetti e a tutti loro assieme devono saper parlare i nuovi servizi per le aree montane, interne e rarefatte, utilizzando le nuove tecnologie della comunicazione – che in queste aree “a fallimento di mercato”, come diciamo eufemisticamente, debbono rappresentare il prioritario investimento pubblico in infrastrutture – per declinare e coniugare funzioni tradizionali e nuovi messaggi.
Il mondo della educazione è, sotto questo profilo, determinante.
I territori minori, montani e rarefatti, hanno innanzitutto bisogno di una nuova offerta educativa, pienamente radicata nel contesto e nella tradizione locale e compiutamente integrata in un flusso di relazioni globali.
Ne hanno bisogno per sostenere visioni di futuro apprezzabili e per accompagnare politiche di sviluppo sostenibili.
Politiche che – loro sì – anche nella stagione di un nomadismo ritornante debbono sempre più radicarsi nei luoghi per intercettare con le loro traiettorie gli universi simbolici e le coalizioni di interessi su cui si può fondare il riconoscersi – comunque provvisorio – di comunità in cammino, la cui fedeltà ai luoghi del cuore sempre più è un progetto piuttosto che non un destino.
Giampiero Lupatelli