C’è chi il mestiere del rifugista se l’è trovato sotto casa, e sono gli entusiasti della terra natia, che dopo aver magari fatto esperienze formative o lavorative altrove decidono di restare e investire nel crescente turismo slow. E poi ci sono “i foresti”, perché purtroppo non sempre le valli alpine piemontesi hanno forze endogene per far ripartire il territorio, soprattutto laddove lo spopolamento è stato impietoso e alcune borgate hanno ormai raggiunto il punto di non ritorno. E’ in questi casi che entrano in gioco i nuovi montanari, persone capaci di vedere con occhi nuovi le potenzialità dei luoghi abbandonati, anche grazie al cambiamento di paradigma economico e sociale in atto nel nostro paese.
E’ questo il variegato mondo dei gestori di rifugi alpini e posti tappa in Piemonte, l’Agrap, tra i fondatori dell’Associazione T.r.i.P. Montagna, fatto di volti veri, entusiasmo e voglia di fare, che hanno capito molto bene le potenzialità di questo crescente turismo responsabile sulle Alpi.
E’ il caso di Roby Boulard del Rifugio Willy Jervis, che lavora in alta Val Pellice da 30 anni, è guida alpina e gestore, da sempre, sempre nello stesso posto. Ha conservato un articolo del 1930 in cui si parlava della Conca del Pra come luogo di villeggiatura e ce lo mostra. «Quella era la clientela di allora, famiglie che salivano per restare un mese e più in alta quota – racconta -. Poi verso la fine degli anni ’70 è cambiato tutto. È partita la Gta francese e gli ospiti sono cominciati ad arrivare dal Queyras. E più cresceva la fama della Grande Randonnée e più arrivava gente, anche da paesi lontani come Olanda, Germania, Inghilterra e Belgio». Nel 1985 uno sci alpinista belga si innamora della Conca del Pra e del rifugio Jevis. Diventa guida alpina in Val Pellice e socio di Roby. I due cominciano a fidelizzarsi una clientela di ospiti provenienti dal paese del nord, e oggi, grazie a questo legame, la loro clientela è belga per l’85%. «Vendere periodi organizzati – continua Roby – unendo la guida al rifugio è stata una strategia vincente. Perché la gente comincia ad avere voglia di vivere la montagna in modo diverso, a 360 gradi, anche d’inverno. Persino il pistaiolo che passava il weekend sugli impianti senza sapere cosa c’era intorno oggi è diventato un cliente più esigente, vuole sapere, conoscere, spesso mette le pelli ed esce fuori, cerca l’avventura».
Anche Sylvie e Massimo dal Rifugio Selleries in Val Chisone ci hanno raccontato della grossa trasformazione dei loro ospiti degli ultimi dieci anni: «Quando siamo arrivati sembrava di lavorare ad un autogrill – ricorda Massimo condividendo un sorriso con la compagna Sylvie -. I clienti arrivavano, posteggiavano l’auto fuori, si sedevano al tavolo e finito il pasto ripartivano per scendere a valle. Ora invece è tutto cambiato». Grazie anche a un grosso lavoro di educazione alla montagna, portato avanti dal Rifugio Selleries con l’aiuto di guide e accompagnatori naturalistici, con i clienti abituali e con le scuole. Oggi il cliente si è trasformato in ospite, che sale d’inverno a piedi da Pracatinat, con le ciaspole o con sci e pelli, e d’estate fa una breve sosta all’interno del rifugio per rifocillarsi, ma poi via, fuori, a esplorare i dintorni, fotografare piante e fiori, a inseguire gli animali del Parco Regionale Orsiera Rocciavré con il binocolo. «Da un turismo mordi e fuggi in auto, la domenica, a mangiar polenta – continua Massimo – si è passati a un turismo che vuole altro, curioso, in cerca di emozioni. Né polentari ma nemmeno pistaioli, perché chi cammina, ciaspola e fa sci alpinismo ha fatto delle scelte ben precise, e oramai esistono categorie differenti».
Lo sanno bene Natalia e Ferruccio, del Rifugio Fontana del Thures, in alta Val di Susa, che pur lavorando a pochi chilometri dalla famosa stazione sciistica di Sestriere di pistaioli ne vedono pochi. Qualcuno arriva trasformato per l’occasione in sci alpinista, e anche questo succede sempre più spesso, ma il grosso degli ospiti invernali, la stagione in cui lavorano di più, circa l’80% del loro business complessivo, sono persone che fanno sci nordico, sci alpinismo e naturalmente percorsi in ciaspole. «D’inverno lavoriamo tanto con i francesi – racconta Natalia – che arrivano da noi attraverso agenzie specializzate d’oltralpe che gli organizzano il tour, con tanto di guida. E fanno collegamenti con altri rifugi della valle o delle valli limitrofe. D’estate con escursionisti o muntainbikers del nord Europa, tedeschi e olandesi». Non mancano anche le famiglie italiane, che rimangono due o tre giorni: un giorno per ciaspolare, un altro per portare i figli al parco avventura di Mollieres e magari il terzo, perché no, per andare a sciare in pista. «Ma la settimana bianca classica – assicura Ferruccio – ormai non esiste più».
Lo vede bene anche Loredana della Foresteria di Massello, che si trova in un vallone laterale, selvaggio e incontaminato della Val Germanasca, dove per trovare gli impianti di risalita bisogna proseguire fino a Prali, alla testa della valle. I tempi sono cambiati, non esiste più la sola settimana bianca, tanto che dei turisti in salita sempre più spesso se ne fermano anche da lei, e sono nuove forme di turismo, più attente al contesto in cui arrivano. «Sono arrivata a Massello dalla Valtellina – racconta Loredana – che non avevo nemmeno un cliente. Ma grazie alla nostra accoglienza di qualità, alle bellezze intorno, e alla valorizzazione di cose uniche come la Gta o i Sentieri valdesi, oggi in estate abbiamo una discreta clientela straniera di tedeschi, svizzeri e francesi ormai affezionati. In inverno e nelle mezze stagioni lavoriamo a pranzo con gli operai della zona e nei weekend con le famiglie, a cui non facciamo pagare i costi dei bambini». Si tratta di una clientela sempre più variegata e spalmata lungo l’arco di tutto l’anno, attenta alla buona accoglienza, alla natura, alla cultura e alla buona cucina.
Maurizio Dematteis