Raccontare il turismo invernale nelle Alpi al di là dello sci alpino comporta, necessariamente, il confronto con delle nicchie di appassionati e di mercato. Come emerge dai dati in circolazione, il numero di persone che praticano lo sci in pista è più elevato della somma di coloro che si dedicano a tutte le altre discipline della neve e del ghiaccio. Tuttavia, il webmagazine di Dislivelli dell’anno passato ha dimostrato che il sostentamento finanziario degli impianti di risalita deve essere preso in carico dagli enti pubblici, mentre i flussi di turisti generati da attività come sci nordico, scialpinismo e ciaspole generano un’economia di scala ridotta, ma sana.
Tale discorso è valido anche per la nicchia delle nicchie, cioè l’arrampicata su cascate di ghiaccio, che attira in maniera febbrile e fanatica piccoli gruppi di praticanti e suscita repulsione e terrore in tutte le altre persone. È la più alpinistica delle attività invernali, sia dal punto di vista dell’approccio tecnico, sia per quanto riguarda la filosofia sostanzialmente anarchica dei suoi adepti: gente che trascorre una giornata in montagna infilata in anfratti gelidi e inospitali tendenzialmente non cerca un’accoglienza turistica sofisticata.
A detta di molti, gli anni d’oro dell’ice climbing sono passati ma la disciplina continua a rappresentare un’importante risorsa turistica anche grazie alla forza attrattiva che esercita al di fuori del territorio alpino, soprattutto all’estero. Cogne in Valle d’Aosta è una stazione che ha saputo e voluto differenziare la propria offerta puntando su un piccolo comprensorio di piste da discesa, splendidi itinerari per lo sci nordico e un’ampia disponibilità di cascate di ghiaccio naturali nell’area intorno alla frazione di Lillaz.
«Non è possibile calcolare in maniera precisa il numero dei cascatisti che frequentano la nostra località – esordisce Raffaella Carlin del Consorzio operatori turistici della Valle di Cogne – ma abbiamo stimato che sono intorno ai 6.000 individui ogni inverno. Ci sono alcune strutture ricettive che si sono specializzate nell’accoglienza di questa tipologia di turisti, hanno attrezzato una stanza apposita per l’asciugatura dei materiali e si sono rassegnate all’idea di servire la colazione all’alba. Si dimostrano soddisfatti dei risultati e ritengono che il trend delle presenze sia in leggero aumento. I ghiacciatori che si fermano a pernottare sono prevalentemente francesi, scozzesi e spagnoli, ma stanno arrivando consistenti gruppi di greci, bulgari e scandinavi. Gli italiani vengono in giornata, con una buona affluenza dal parmense e dal piacentino. In generale il ghiaccio per Cogne è una buona risorsa che cerchiamo di rilanciare attraverso il Cogne Ice Opening dal 13 al 15 dicembre, un raduno organizzato con la collaborazione di importanti sponsor internazionali».
Ovviamente, le cascate di ghiaccio non si trovano ovunque nelle Alpi, ma sono in grado di attrarre flussi consistenti di turisti anche in luoghi minori, certamente meno rinomati di Cogne. Un ottimo esempio è la conca del Prà, in alta Val Pellice, dove non ci sono alberghi e ristoranti ad accogliere gli ice climber bensì un rifugio, il Willy Jervis, gestito dal presidente del Collegio delle Guide alpine piemontesi Roby Boulard.
«Come rappresentante delle Guide, posso dire che il ghiaccio non è più una risorsa come un tempo – afferma Boulard – poiché da parte della clientela italiana non c’è stato un ricambio generazionale e molti di coloro che si affidavano ai professionisti hanno poi imparato ad andare da soli. Dal punto di vista personale, insieme al collega Jean De Macar che abita a Bruxelles, abbiamo lavorato molto per attrarre i ghiacciatori belgi. La cosa ha funzionato bene se fino ad alcuni anni fa riuscivamo a organizzare fino a 7 settimane con clienti, qui in rifugio. Nel 2010 sono addirittura venute due star dell’alpinismo, i fratelli Favresse, che hanno condotto uno stage di ice climbing durante il quale abbiamo riempito il Jervis con oltre 30 persone. Ultimamente però i clienti del ghiaccio scelgono periodi più brevi come il weekend lungo, ma in compenso sono aumentati coloro che vogliono fare la settimana di scialpinismo. Noi forniamo loro tutta l’attrezzatura, li andiamo a prendere a Caselle dove atterrano da un volo Ryanair con soltanto il bagaglio a mano e li portiamo qui. È una formula low cost per i clienti e funziona soprattutto se abbinata al rifugio, una struttura un po’ più spartana dell’albergo, ma certamente maggiormente funzionale e genuina».
Se un invecchiamento si è registrato tra i puri e duri delle cascate, si sono sviluppate delle strutture che, invece, hanno rivitalizzato l’arrampicata con ramponi e piccozze tra i giovani. Si tratta dell’equivalente della falesia in versione invernale, una sorta di sito artificiale dotato di ghiaccio naturale. I due esempi più illuminanti sono l’anfiteatro della Diga di Castello in Val Varaita e l’X-ice park a Ceresole Reale. Entrambi sono stati realizzati grazie al lavoro titanico (e gratuito) di alcuni appassionati che hanno deviato corsi d’acqua, tirato tubi e piazzato ugelli e rubinetti per creare nuove colate su salti di roccia che in origine erano secchi. Sono luoghi che si possono frequentare anche nei ritagli di tempo, poiché facilmente raggiungibili senza avvicinamento a piedi e offrono numerosi percorsi di molteplici difficoltà spesso illuminati di notte. Ma soprattutto, l’aspetto che attrae le nuove leve, sono luoghi sociali dove si possono incontrare altri appassionati con cui scambiare chiacchiere e opinioni. Rispettando lo stile anarchico dei ghiacciatori, queste falesie sono ad accesso libero, ma certamente contribuiscono a movimentare e a differenziare le proposte turistiche di una valle, in particolar modo in Val Varaita e in Valle dell’Orco dove le falesie si aggiungono a una buona dotazione di cascate naturali.
Simone Bobbio