Scuole chiuse e piste aperte? A qualche studente italiano è sembrato di entrare nel paese dei balocchi, quello in cui tutti i giorni è un gran godere, ma poi ti spuntano le orecchie d’asino sotto il cappello, anzi sotto il casco. Se non fossimo in una situazione di assoluta emergenza sanitaria, con un virus sconosciuto che ha già causato 54.000 morti nel nostro paese, ci sarebbe da ridere. Eppure oggi nessuno è in vena di risate, perché i “caduti civili” in Italia hanno già superato la metà di quelli della Seconda Guerra Mondiale. L’opinione pubblica, forse per la prima volta, non ha preso bene la campagna mediatica delle lobby dello sci, in pressing sul Governo per la riapertura degli impianti a Natale. Lo testimoniano i numerosi messaggi sui social, diventati ormai il termometro dell’umore dell’opinione pubblica mondiale, che rimbalzano battute sarcastiche del tipo: “Eureka! Al fine di garantire la riapertura, le scuole verranno equiparate alle località sciistiche. Entro Natale tutti gli istituti verranno dotati di impianti di risalita…” (vedi la galleria a cura di Clarissa Cancelli su La Repubblica).
Non è affatto usuale che in Italia un governo si opponga in maniera così netta ai “poteri forti”, in qualsiasi ambito. Eppure il Presidente del Consiglio questa volta non ha esitato a dire no alla riapertura, ancor prima di sentire il parere europeo. Ma siccome la politica, anche in situazioni d’emergenza, non si muove mai senza consultare i sondaggi, questo potrebbe rispondere ad alcune tendenze in atto. Gli italiani, a fronte di imprese in ginocchio, commercio in crisi nera e disoccupazione in aumento, non tollerano più situazioni di privilegio, soprattutto in ambiti che vengono dai più percepiti come elitari, riservati a una minoranza della popolazione economicamente benestante. Dimenticandosi però, come spesso avviene nelle reazioni popolari di pancia, delle migliaia di persone che lavorano sugli impianti e nell’indotto, che perderebbero il posto di lavoro.
E’ innegabile inoltre che il niet così netto del Governo italiano potrebbe stare ad indicare una perdita di potere delle lobby dello sci. Che i grossi investitori abbiano deciso di spostarsi su altri settori meno rischiosi? E’ una domanda legittima, alla quale sarebbe interessante riuscire a dare una risposta analizzando le future tendenze della “mano invisibile del mercato”.
Ma la campagna mediatica in atto per promuovere la riapertura immediata, promossa per tutelare gli interessi dei grossi gruppi industriali della neve, ma anche di tutte le persone che lavorano sugli impianti e nel suo indotto, ha commesso un altro errore strategico. Assecondare, se non addirittura suggerire, il titolo comparso sui principali media nazionali: “Il settore dello sci da discesa è l’unico in grado di salvare la montagna”. Anche in questo caso una grossa parte degli italiani non ha condiviso il messaggio, comprese le persone che in montagna vivono e lavorano. Ormai sono in molti a pensare che non sia più così. Probabilmente lo è stato in passato, ma oggi c’è chi pensa che il turismo di massa dello sci sia ormai un modello insostenibile, e che se non cambia, e in fretta, possa trasformarsi da risorsa a problema.
Si tratta di una situazione per nulla facile da risolvere, che richiederebbe una classe dirigente capace e preparata per poterla affrontare: oggi esiste un indotto economico dello sci ancora consistente, fortemente in crisi, è vero, ma in alcuni casi insostituibile nell’immediato. La pandemia del Covid 19 rischia di essere il Cigno Nero dello sci, in particolar per le stazioni medio-piccole e di bassa quota. Ma se salta la stagione è l’intero comparto neve a subire un calo d’interesse, con successivo offuscamento del fascino dello sci di discesa in Italia e nel mondo. E anche se quest’anno verrà sicuramente “ricoverato” dal Governo, come capita per gli altri settori economici colpiti dagli effetti della pandemia, in futuro se cala l’interesse come faranno gli operatori a ottenere i sostegni pubblici, indispensabili al funzionamento del “circo bianco”?
C’è bisogno di uno sforzo comune, a tutti i livelli, europeo, nazionale e locale, pubblico e privato. Bisogna mettere in campo strategie di differenziazione dell’offerta turistica, accanto allo sci di pista, dove questo è ancora vitale. Coinvolgere tutti i settori economici locali, esistenti e futuri, tradizionali o innovativi che siano, in modo da garantire un futuro di sviluppo sostenibile economicamente, socialmente e ambientalmente, ai territori montani.
Maurizio Dematteis