Partecipare all’incontro del 14 settembre alla Fondazione Mattei, organizzato dal sociologo Aldo Bonomi, dal presidente del Censis Giuseppe De Rita, dall’ex ministro Fabrizio Barca e dal “capo” del Padiglione Italia di Expo Cesare Vaciago, per un “non addetto ai lavori” come me è stata un’esperienza destabilizzante. Si parlava di aree interne, nuovi assetti nazionali e globali, ruolo dei territori marginali, uscita dalla crisi e del recente ruolo centrale acquisito dallo sviluppo locale. Nel corso degli oltre 30 interventi di universitari, politici, amministratori, esperti di progettazione e rappresentanti di associazioni, alcuni tra i più quotati accademici e cultori delle materie trattate sono riusciti in un solo giorno a mettere in dubbio le più accreditate teorie su sviluppo e dinamiche territoriali. Quelle che molti di noi “non addetti” si sono assimiliate sudando per anni chini sui testi universitari. Basta, tutto nuovamente in discussione. Perché oggi, ci hanno spiegato, abbiamo a che fare con una “cittadinanza che cambia”, e con un “capitalismo confuso”, mentre uno “stato centrale assente” deve ritrovare il suo ruolo “diventando sperimentale”, mettendosi alla ricerca di nuove strade da percorrere. E allora, che fare?
Giuseppe De Rita, che con la sua proverbiale lucidità ha sottolineato la necessità di ripartire dal binomio “turismo e agricoltura”. Con buona pace del rappresentante di Confindustria che sosteneva invece la centralità del manifatturiero, denunciando addirittura un inaspettato quanto virtuoso ritorno “della concia in Italia”. Fabrizio Barca, già Ministro per la coesione territoriale del Governo Monti, oggi dirigente generale al Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha recitato il de profundis della Stato centrale, sostenendo la necessità di ripartire dai territori, e soprattutto dalle aree interne di cui si occupa da anni, montagne comprese. E’ stata poi la volta di Aldo Bonomi, il sociologo, abile comunicatore che riesce sempre a trovare le parole giuste per semplificare concetti complessi: bisogna ripartire dal locale di Danilo Dolci, con una mediazione con il centro di Giuseppe De Rita, in attesa di un cambiamento della politica per il territorio. Che altrimenti, detta in milanese, “non ghe n’è”.
Secondo Enzo Rullani, tra i più quotati economisti italiani, c’è bisogno di “rigenerare il territorio” sfruttando la forza della transizione, assecondando la globalizzazione, attraverso la digitalizzazione e con un occhio alla sostenibilità. Secondo l’economista dell’Università di Venezia infatti è ormai chiaro come sia diventata una pia illusione quella di potersi legare ai grandi centri con i loro distretti per trainare il resto del paese. Finito, quella visione era figlia della grande impresa, che ormai non c’è più. Nell’attuale fase di Secondo postfordismo, pare, bisogna ritornare alla flessibilità, che è la vera forza dei territori, in un’economia globale che premi la differenza e le “idee forti” che creano business. Come è stato, cita Rullani, del caso Slow Food.
Sulla stessa linea d’onda Alberto Magnaghi, fondatore della Società delle territorialiste e dei territorialisti, che racconta come siamo ormai in presenza di una nuova geografia. In cui alcune realtà da aree svantaggiate si stanno trasformando in aree avvantaggiate. Ed è proprio il caso, pare, di alcune valli alpine. Finito il modello egemone della pianura, in cui il sistema metropolitano doveva essere il punto di arrivo, oggi il futuro risiede, secondo il territorialista, in una rete di piccole città storiche in equilibrio con il territorio: un passaggio epocale dal distretto industriale a quello agro-terziario. Dove l’ambiente, sottolinea il Presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, non è più solo un elemento da preservare e difendere con campagne ad hoc, ma diventa un valore centrale condiviso.
In attesa di cominciare a vedere gli effetti di questa trasformazione epocale in atto anche sui diretti interessati, i territori, i convenuti si sono dati appuntamento a fine ottobre all’Expo per sintetizzare i contenuti che le scuole e le pratiche territoriali del sistema Paese possono dare alla Carta di Milano che verrà consegnata al segretario generale dell’Onu al termine del grande evento milanese.
Maurizio Dematteis