La Cipra si oppone a soluzioni semplicistiche e demagogiche che indicano nel lupo un facile capro espiatorio e non affrontano i problemi reali dell’agricoltura.
Nei mesi scorsi, in particolare in Piemonte e in Provincia di Cuneo, si sono susseguite affermazioni a dir poco sconcertanti, poi in parte smentite, sulla consistenza della popolazione, sull’incompatibilità del lupo con l’uomo e l’allevamento e addirittura sulla sua pericolosità per chi frequenta la montagna.

Il ritorno del lupo crea sicuramente delle difficoltà per l’allevamento in montagna, soprattutto nelle fasi iniziali, prima dell’acquisizione da parte dei pastori di alcune tecniche di prevenzione che nella maggior parte dei casi riescono a mitigare notevolmente, se non a eliminare, l’incidenza delle predazioni. In questo contesto, stupisce constatare che la scelta adottata da politici, amministratori e rappresentanti di categoria sia stata di cavalcare l’ondata di emotività suscitata dalla presenza del predatore. Si è così assistito a una vera e propria campagna mediatica contro il solito capro espiatorio, il lupo, che qui rappresenta tutt’al più la goccia che rischia di far traboccare un vaso ormai colmo, evitando di interrogarsi seriamente sulle cause della crisi dell’agricoltura di montagna e ammettere i fallimenti delle politiche a tutti i livelli. Una crisi che parte da molto lontano, da ben prima che arrivassero i lupi: ritardi nella modernizzazione, concorrenza dell’agricoltura di pianura, incapacità di fare sistema, carenza nell’organizzazione della filiera, inadeguatezza delle strutture. Il fenomeno è molto complesso e le colpe andrebbero ripartite tra più soggetti.
Tornando alla questione contingente, si pongono alcune domande: di quali metodologie scientifiche si avvale chi afferma che in Piemonte ci sono troppi lupi? Senza addentrarsi nella stima della popolazione, che compete a chi ne ha le basi scientifiche, basta osservare che a vent’anni dal ritorno del lupo nelle Alpi occidentali la ricolonizzazione dell’arco alpino non è sostanzialmente progredita e in metà delle territorio piemontese (a nord della Valle di Susa) il lupo è praticamente assente. Ma addirittura i lupi sarebbero un pericolo per le persone che passeggiano in montagna? Un allarmismo del tutto infondato, che non fa certo bene al turismo. A proposito di dati sulla presenza nel territorio piemontese, l’Associazione Teriologica Italiana, che si occupa dello studio e della conservazione dei mammiferi, ha preparato un documento di sintesi per fare chiarezza sul fenomeno lupo, secondo il quale nella zona alpina del Piemonte occidentale e nella zona transfrontaliera al confine con la Francia sono presenti 18 branchi per una stima complessiva di circa 70 lupi.
Sono ben altri i numeri cui rivolgere l’attenzione: i danni provocati dai lupi accertati dalla Direzione agricoltura della Regione Piemonte per il 2011 ammontano a 92.600 euro, tra danni diretti e indiretti (62.000 in provincia di Cuneo). Per dare la giusta dimensione del dato, i danni provocati dai cinghiali sono superiori ai 2 milioni all’anno! Come ben sappiamo, questo non vuol dire che i danni causati dal lupo alla pastorizia siano da sottovalutare. Ben più grave dell’entità del danno è l’aggravio di lavoro che la presenza del lupo comporta per i pastori. Gli allevatori si aspettano quindi soluzioni praticabili. Non che sia indetta una guerra ideologica tra i ricercatori.
Si sente spesso affermare che «l’unica gestione possibile è l’eliminazione del lupo». Ma spesso le soluzioni semplicistiche sono anche le più velleitarie, le più lontane dalla realtà. La realtà è un’altra, il lupo è accettato dalla stragrande maggioranza delle cittadine e dei cittadini italiani e non mancano gli esempi di gestione che hanno dato buoni risultati. Senza contare che l’arrivo dei grandi predatori in alcune valli può costituire un elemento di riequilibrio e miglioramento per le popolazioni di ungulati.
La Cipra ritiene che la strategia adottata dalla Regione Piemonte con il Progetto Lupo – mediante attività di monitoraggio, prevenzione e assistenza alle attività zootecniche – rappresenti una valida esperienza per arginare i danni e affrontare le reali difficoltà degli allevatori e vada pertanto proseguita e ulteriormente perfezionata; auspica inoltre che anche le altre regioni alpine dove il lupo si è da poco insediato, mettano in atto politiche volte a mitigare i conflitti e a favorire la convivenza tra predatori e attività pastorali.
Francesco Pastorelli e Carlo Gubetti

Per ulteriori approfondimenti: www.canislupus.it