Qui non c’è acqua ma soltanto roccia
Roccia e non acqua e la strada di sabbia
La strada che serpeggia lassù fra le montagne
Che sono montagne di roccia senz’acqua…
“La terra desolata” di T.S. Eliot
E’ recente il grido d’allarme lanciato dai quasi 200 atleti con la lettera inviata alla FIS, la Federazione Internazionale Sci e Snowboard, in occasione dei campionati del mondo di sci alpino a Courchevel Méribel per richiamare l’attenzione sulle problematiche legate ai cambiamenti climatici. L’appello, siglato tra i tanti dalla campionessa americana Mikaela Shriffin e dalla nostra Federica Brignone, arriva in un momento particolarmente delicato per il mondo del turismo invernale e chiede esplicitamente di riorganizzare l’intera stagione sciistica rivedendo calendario e luoghi delle gare perché, come ha affermato il campione norvegese Aleksander Kilde, “il mondo sta cambiando sul piano della sostenibilità ambientale e l’impatto sul nostro sport è enorme. Voglio che le generazioni future vivano l’inverno come noi e siano in grado di praticare queste discipline”.
Le nostre montagne stanno cambiando a vista d’occhio: pochissima neve, nevica più tardi e la neve è più bagnata e più pesante. In sintesi, nevica meno e nevica peggio. E’ la fine di un’epoca: quella delle sciate dal primo dicembre a fine aprile. Per la prima volta nella storia dello sci il calendario di Coppa del Mondo, da inizio stagione a fine febbraio 2023 ha visto cancellate o rinviate per il comparto maschile ben 8 gare su 43, il 18,6% del totale. Per il femminile le cose non sono andate meglio con 5 gare cancellate su un totale di 42 (11,9% de totale) quasi tutte per scarso innevamento e/o temperature elevate.
Intanto le temperature continuano a crescere a vista d’occhio. I dati elaborati su fonte OBC Transeuropa per European Data Journalism Network (EDJNet) nel 2020 ci descrivono una montagna sempre più calda. Su 224 comuni montani situati nei comprensori sciistici o nelle loro immediate prossimità sono ben 22 i comuni che dal 1961 al 2018 hanno subito un aumento di 3 o più gradi. Il primato spetta ad Aprica e Teglio, entrambi in provincia di Sondrio con 3,9 gradi in più.
La neve artificiale, che negli anni Ottanta era a integrazione di quella naturale, ora costituisce il presupposto indispensabile per una stagione sciistica, al punto che i comprensori per sopravvivere richiedono sempre nuove infrastrutture: impressionante il numero di bacini artificiali collocati sulle nostre montagne. Il report Nevediversa 2023 è stato l’occasione per iniziare a contarli. Attraverso le immagini satellitari di Google Satellite ne abbiamo individuati ben 142 per una superficie di oltre un milione di metri quadri e molti altri sono in progetto. Il Trentino-Alto Adige detiene il primato con 59 invasi.
L’innevamento artificiale non è una buona pratica di adattamento, anche se non tutti la pensano così. Per sostenere un modello di turismo basato sulla neve artificiale occorre profondere enormi spese, che nella fase di realizzazione sono per lo più a carico della pubblica amministrazione. Comporta consistenti consumi di acqua, energia e suolo, in territori di grande pregio. Oggi in particolare preoccupa l’utilizzo dell’acqua per l’alimentazione dei bacini artificiali, a discapito di risorse idriche montane che si fanno sempre più ridotte con l’inasprirsi della crisi climatica.
L’intero comparto sciistico vive nell’insicurezza, e per far fronte a questa situazione ogni comprensorio paradossalmente cerca di usare maggiori risorse naturali con l’intento di rendersi indipendente dalla natura. Si è innescato una sorta di circolo vizioso che richiede cioè sempre maggiori investimenti per nuove tecnologie e continui ampliamenti della superficie da coprire con la neve artificiale. Tale situazione, in determinate circostanze, può rafforzare il dinamismo economico locale, però in tal modo si accresce anche il livello di dipendenza della località che a sua volta aumenta la rigidità del sistema, rendendo così molto difficili i cambiamenti di rotta.
Nel report Nevediversa non poteva mancare un aggiornamento sulle Olimpiadi Milano-Cortina 2026 dove si è fatto il punto, in base ai dati resi pubblici, della situazione a tre anni dal grande evento con l’elenco delle opere previste, i relativi costi e gli aumenti stimati. Come di consueto ci sono i dati aggiornati su: impianti dismessi (249 ovvero 15 in più rispetto al 2022), impianti temporaneamente chiusi (138, con 3 in più rispetto al 2022) e impianti sottoposti al cosiddetto “accanimento terapeutico”, quelli cioè che sopravvivono solo grazie al forte flusso di risorse (181, ben 33 in più rispetto al 2022). A queste classificazioni abbiamo aggiunto una nuova categoria, quella degli “impianti un po’aperti, un po’ chiusi” dove sono stati inseriti quei casi che con le loro aperture “a rubinetto” rendono bene l’idea della situazione di incertezza che vive il settore. Gli impianti a intermittenza sono 84. Nel censimento compaiono anche gli edifici fatiscenti, che lo scorso anno sono stati trattati in un report a parte, per un totale di 78 censiti. Gli smantellamenti e i riutilizzi crescono, ma non così come si vorrebbe: al momento sono 17 i casi registrati in questa categoria, con un aumento di 14 rispetto allo scorso anno.
Dieci, infine, le “brutte idee” che fanno da contraltare ad altrettante “buone idee da copiare”. Le prime, ripartite equamente tra Alpi e Appennini, sono molto diverse tra di loro e raccontano di investimenti non solo dannosi per l’ambiente, ma che soprattutto appaiono anacronistici rispetto ai tempi. La sensazione è che si voglia continuare ad agire come se la crisi climatica non avanzasse, con poca lungimiranza dal punto di vista economico, come se non crescessero con le temperature anche i costi di costruzione e mantenimento.
In direzione opposta si collocano le buone idee da copiare, la vetrina di un mondo ben più vasto per fortuna e solo in parte raccontato nel corposo elenco dell’Italia delle buone pratiche. In totale ne sono state censite una settantina: tante belle storie di giovani e meno giovani, uomini e donne, dove la sostenibilità insieme al senso di comunità prevalgono rispetto alle stereotipate forme di consumismo dettate dalla “fabbrica della neve”.
Vanda Bonardo