Le “attività senza cavi” realizzate nell’inverno alpino diventano discipline sempre più importanti e degne di attenzione, seguite da turisti in cerca di alternative e imprenditori del turismo attenti a proporre le risposte giuste. Ciaspole, pelli di foca, freeride, sci di fondo e sciescursionismo, cascate di ghiaccio e molto altro ancora, sono le attività invernali che negli ultimi anni in montagna sono cresciute, a fronte di uno sci di pista in forte crisi. Anche di presenze.
Ormai la tendenza e il cambiamento in atto all’interno della cultura del turismo invernale è talmente evidente che realtà disposte ad offrire alternative alle “attività con i cavi” nascono lungo tutto l’arco alpino. Come Montagnard, associazione di professionisti dei mestieri della montagna, che da ormai più di un anno ha aperto una sede al pubblico proprio a Bardonecchia, nel cuore del business dello sci di discesa legato agli impianti di risalita. Con ottimi risultati.
Proviamo a capire insieme a Federico Aquarone, uno dei fondatori e animatori dell’associazione, cosa ha voluto dire proporre un’alternativa nel cuore di una delle più importanti e famose stazioni sciistiche dell’intero arco alpino italiano.
Aquarone, quando e perché nasce l’esperienza di Montagnard a Bardonecchia?
Nasce nel giugno del 2012. L’idea iniziale eredita diversi contenuti elaborati negli anni sia da attività sportive ed escursionistiche che di comunicazione. Fra esse ad esempio la scuola di sci Monti della luna a Cesana, aperta al principio degli anni 90, l’organizzazione Freeride&Backountry operante a Sestriere fra il ’99 e il 2004, la rivista Montagnard distribuita in tutta Italia dal 2001 al 2011. I contenuti principali erano e sono: una montagna autentica che torna alle sue origini sia culturali che naturalistiche, il superamento del turismo consumistico di massa con i suoi eccessi di vario tipo, una forte attenzione all’ambiente alpino, la consapevolezza che chi frequenta la montagna e ci vive può e deve instaurare con essa un rapporto armonioso e di scambio. E’ possibile essere professionisti della montagna virtuosi, cioè in grado di restituire alla montagna qualcosa che le consenta di preservarsi e continuare ad essere un patrimonio enorme in quanto tale, senza alterazioni o trasformazioni.
Cosa offrite ai vostri amici e soci?
Attività semplici, non solo sportive, che riportino costantemente ai valori appena menzionati. Inclusa l’idea che la visione solo sportiva e da parco divertimenti sia fuorviante e sbagliata. E’ necessario integrare fra loro in quasi tutte le attività col pubblico sport, cultura, ambiente per provare a far avvicinare le persone alla montagna in modo autentico e costruttivo. Dunque le racchette da neve, piuttosto che lo scialpinismo, il freeride, etc diventano in ogni situazione strumento e scopo, mezzi di conoscenza e finalità. E’ possibile star bene (non solo divertirsi) e trovare stimoli anche da esperienze a 360°, dove lo sport incontra cultura e ambiente. Dove i tre aspetti siano perfino fusi insieme e indistinguibili.
Come fate a promuovere le vostre attività?
Serate, incontri, proiezioni, momenti conviviali, passaparola, corsi di formazione e aggiornamenti professionali. Poca pubblicità, poca comunicazione commerciale.
Quali i risultati di questo primo anno di attività?
Un progetto come questo, una scuola sci non convenzionale, un’associazione che coniuga spirito pratico, lavoro, cultura e ambiente alpino, richiede tempo per farsi conoscere. Il pubblico di oggi, bisogna dirlo, è ancora molto appiattito e condizionato da un’offerta di montagna standardizzata e banalizzata. Ma è certamente in crescita una diversa sensibilità. Nelle nostre zone però, in alta Valsusa, questa stenta ad attecchire in modo definitivo. La città troppo vicina, le seconde case dei cittadini, la montagna come cassaforte dei risparmi e di buoni investimenti immobiliari. Purtroppo sono aspetti ancora preponderanti. L’alta Valsusa non viene scelta da un turismo moderno e consapevole, viene sfruttata in quanto meta di svago e di fruttiferi investimenti a portata di mano della grande città, Torino.
Che rapporti avete con i gestori degli impianti di risalita?
Difficili. Chi pensa che tutto dipenda dal fatto che nelle località alpine vi siano impianti di risalita, che ogni attore possa stare in piedi solo in quanto esiste una stazione di sci e che lo sci di discesa è industria, industria dominante, come può entrare in sintonia con gli obiettivi del progetto Montagnard?
Quali le prospettive di Montagnard e quelle degli impianti di risalita a Bardonecchia?
Noi continueremo sulla nostra strada. In definitiva possiamo esistere e stare in piedi anche senza impianti di risalita. Come scuola sci abbiamo numerose proposte che possono attuarsi senza l’uso delle risalite meccanizzate. Gli impianti di Bardonecchia, come quelli della vicina Via Lattea, sono vicini al capolinea. Per motivi disparati, in molti lo sanno. Un patrimonio al 50-60 % pubblico (Regione Piemonte) affidato a società private miopi, con scarsissimo senso della collettività e dell’interesse comune. Società di profitto che usano il capitale pubblico per fini privati e che possono continuare solo perché il soggetto pubblico che dovrebbe essere garante e controllore, lascia fare, permette molto più di ciò che può essere permesso. Anzi, ad ogni richiesta per cosiddette emergenze, aggiunge risorse oltre a quelle previste. Nella vicina Francia, dove gli impianti di sci sono per l’80 % proprietà pubblica, lo Stato pretende dai gestori che ogni anno venga dimostrato un bilancio in attivo, non solo per la semplice vendita di skipass ma per l’intero indotto della stazione turistica: alberghi, commercianti, operatori di vario genere. Un’intera stazione in attivo, che crea lavoro e opportunità per tutti. Da noi si farà mai?
Maurizio Dematteis