Enrico Camanni, Alpi ribelli. Storie di montagna, resistenza e utopia, Edizioni Laterza 2016, pp. 226, 18 euro

Dalla leggendaria lotta di Guglielmo Tell presso San Gottardo alla lotta No Tav in Val di Susa, passando per Fra Dolcino ai piedi del Monte Rosa, un filo sottile lega le terre alte alla “tentazione della ribellione”.
E’ questa la tesi interessante lanciata da Enrico Camanni all’interno del suo ultimo libro dal titolo “Alpi ribelli. Storie di montagna, resistenza e utopia”, edito da Laterza. Una tesi portata avanti attraverso la narrazione di storie forti, note e meno note, che lasciano intravvedere una serie di concetti chiave che si rendono immediatamente visibili grazie “all’aria sottile” delle terre alte.
L’autore fa outing, definendosi appartenente alla generazione “nata sotto la bomba del progresso”, quella che alla ribellione ha in linea di massima rinunciato per il conto in banca, l’auto, la casa al mare e tutto il resto, in un periodo in cui la crescita sembrava inarrestabile. Ma poi ci fa capire, attraverso i racconti di questi “eroi”, molte volte scomodi, che la sua empatia è più per i “ribelli” che non per i conformisti (e d’altra parte basta conoscere un po’ la coerenza intellettuale e biografica dell’autore per esserne sicuri).
Il primo concetto chiave è quello degli “spazi”: perché la montagna ne offre ancora, non è tutto occupato, tutto bloccato come in pianura e in città, e allora i partigiani salivano lungo le valli per darsi “alla macchia” secondo un disegno alto, lontano dal conformismo del tempo; Nuto Revelli, Mario Rigoni Stern, Dante Livio Bianco in montagna che hanno trovato il terreno del riscatto loro e del nostro paese. E poi Giosuè Janavel e i valdesi, che si battono contro le imposizioni, e rivendicano una libertà di coscienza e di culto: anche loro lo fanno in montagna, dove sono liberi di scappare, prima, e di tornare poi, tra colli e vallate, per infliggere ai soldati “servi del padrone” una sonora sconfitta.
Altra parola chiave quella dei “tempi”: il ritmo delle stagioni, la lentezza, la possibilità di meditare, la tranquillità che permette a chi vive o dimora in montagna di sfuggire alla sindrome che i sociologi definiscono “dell’individuo blasé”, ormai impermeabile alle emozioni e agli stimoli a causa del continuo “rumore” di sottofondo che una società in continuo movimento ci impone: tv accesa, filodiffusione nei locali pubblici, addirittura l’Ipod con cuffiette nei rari momenti di relax per evitare il frastuono della città. Come nel caso della scelta di Giovanna Zangrandi autrice dei “I giorni veri”, che lascia la sua famiglia borghese in Provincia di Bologna per salire sulle Dolomiti. Oppure Luca Abbà, nato e cresciuto a Torino e poi tornato nella Valle di Susa dei nonni, dove nessuno è riuscito mai a convincerlo della bontà della Tav. Mentre in città giornali o telegiornali continuano incalzanti e non lasciano il tempo di riflettere sulle informazioni ricevute, e poi gli amici al bar e i colleghi al lavoro, e alla fine ti convinci che forse se la Tav non si fa “rimarremo tagliati fuori”. Ma tagliati fuori da cosa?, continua a chiedersi Luca, a differenza di molti suoi coetanei in città che non trovano più il tempo per meditare sulle affermazioni assimilate e fatte proprie perché già assorbiti da altro.
E ancora il “limite”, parola chiave per antonomasia della montagna, quello che il modello urbano sembrava ormai avere cancellato e invece attraverso storie di ribelli come quella di Cervières, che Enrico Camanni riprende dal suo “La nuova vita delle Alpi” (Bollati-Boringhieri), o di Colonna, la “città mineraria” ormai abbandonata a 2400 metri in Valle di Cogne, riconquista la sua dignità.
Insomma un libro davvero interessante, attuale e propositivo, che racconta di come attraverso l’apparente “disordine alpino” dettato dalla complessità montana, le terre alte siano invece sempre in grado di dare suggerimenti, “fare tendenza” e “anticipare le novità”.
Maurizio Dematteis