Sono sceso da poco dal rifugio alpino che gestisco da 13 anni e ho visto che in televisione, in una delle rare occasioni in cui la Rai parla di alpinismo in prima serata, nella trasmissione “Che tempo che fa” Fabio Fazio invita Burgada, nuovo detentore del record di salita e discesa al Cervino, che ha compiuto indubbiamente un’impresa straordinaria, avvincente e spettacolare… in un termine solo: televisiva!
Non metto in dubbio la sua bravura e lo ammiro per ciò che ha fatto, ma se parlo in veste di operatore turistico valdostano credo che per la nostra immagine sia controproducente utilizzare tale impresa allo scopo di pubblicizzare le nostre montagne.
Vorrei analizzare l’influenza delle gare in montagna in riferimento all’aspetto legato alla promozione e all’immagine della montagna che intendiamo dare ai nostri visitatori, perché siamo noi che viviamo “di montagna” a decidere quale sia il messaggio più giusto da veicolare e propagandare, sia per uno sviluppo sostenibile degli ambienti montani che per una buona resa economica per gli operatori del settore.
Qualche anno fa decisi di non organizzare più la consueta gara di corsa che si svolgeva a Crête Sèche (Marcia dei contrabbandieri) proprio perché non desideravo più essere corresponsabile della promozione della montagna “di corsa”. Poco tempo dopo organizzai al rifugio un evento di due giorni dal titolo “Alpinismo: atletismo, velocità e records …oppure qualcos’altro?”. Come ospite, oltre ad alcune guide alpine della Valpelline, c’era un alpinista d’eccezione: Patrick Gabarrou. Fu una serata veramente interessante che mi aiutò a capire ancora una volta quanto siamo miopi ad ostinarci a promuovere la montagna con gare e record. Non voglio assolutamente fare il moralista, perché sono convinto che in montagna ci sia spazio per tutti (tartarughe e lepri). Voglio solo affrontare questo tema da “piccolo imprenditore di montagna” (pessimo termine!), gestore di un rifugio alpino da 13 anni, direttore di pista e Presidente dell’Associazione NaturaValp. Credo che tra qualche anno ci renderemo conto dello sbaglio che stiamo facendo (gestori di rifugio, guide alpine, amministratori locali e regionali, albergatori, commercianti, agricoltori, ecc) pensando che la strategia migliore per promuovere turisticamente la montagna sia quella dei record e delle gare. In questo modo invece di offrire al turista qualcosa di diverso e unico facendogli godere tanti bei momenti che solo da noi possono avere (panorami, il pascolo degli animali, parlare con gli abitanti, fermarsi a guardare la fauna locale, la tranquillità, il silenzio, i prodotti della nostra terra, ecc), banalizziamo la montagna facendo credere a “reti unificate” che essa è bella da vivere con il mordi e fuggi, lanciando il messaggio unico che il modo migliore e più gratificante per andare per monti sia di corsa. I media, quando parlano di montagna, lo fanno quasi esclusivamente raccontando di record e gare (o peggio di incidenti e morti), gli amministratori locali che vogliono promuovere la montagna organizzano un trail o una gara di scialpinismo, gli amministratori regionali che vogliono promuovere la montagna organizzano un trail “piùlungodituttiglialtri”. E la cosa triste del Tor des Géants, per esempio, è che per la sua organizzazione vengono utilizzati gran parte dei fondi che prima erano destinati alla promozione turistica della VDA. Molte guide alpine quando vogliono promuovere la montagna organizzano le gare di scialpinismo, le gare di cascata su ghiaccio, le gare di drytooling, i trail, cronometrano i record. Ma in questo modo ci stiamo omologando a quei valori tanto cari alla società odierna e soprattutto alla gente delle metropoli: la fretta, la frenesia, il mordi e fuggi, l’immagine e l’apparire. Tutto questo io credo che sia sbagliato, come è stato uno sbaglio ciò che abbiamo fatto in passato cercando di riprodurre le città in montagna, convinti che l’atteggiamento migliore per fare turismo fosse quello di assecondare tutte le richieste dei visitatori. Oggi sappiamo che il turista che scappa dalla città preferirebbe trovare qualcosa di diverso. Prendiamo ad esempio Cervinia e Zermatt, due modi quasi opposti di sviluppo: la prima ha riprodotto i palazzi e gli svaghi cittadini convinta che assecondando le abitudini dei suoi visitatori li avrebbe accontentati, mentre la seconda ha valorizzato l’architettura tradizionale, ha mantenuto, quasi imposto, ai suoi visitatori usi e consuetudini locali. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la società di impianti di risalita di Zermatt ha un fatturato equivalente a quello ottenuto dalla somma dei ricavi di tutte le società di impianti di risalita della Valle d’ Aosta.
Credo che noi dobbiamo fare vivere momenti unici ai nostri visitatori, facendogli passare giorni veramente diversi da quelli che trascorrono nelle città, eliminando soprattutto la fretta e la corsa.
Posso raccontare di tanti episodi assurdi ai quali ho assistito nel mio rifugio: gite del CAI domenicali con sessantenni poco allenati dotati di cardiofrequenzimetro e cronometro, che dopo avere fatto il Mont Gelé in 3 ore e 58, scendono di corsa (!) fino alla macchina per finire poi a mangiare un panino all’autogrill. O del crescente numero di scialpinisti che la domenica sfrecciano davanti al rifugio senza fermarsi, con addosso dell’attrezzatura super leggera e super costosa che cambiano rigorosamente ogni
anno, lasciando quasi tutti i loro soldi alle case che producono abbigliamento e attrezzature sportive. Sempre più spesso mi chiama gente per chiedere le condizioni delle gite invernali, delle vie d’arrampicata, ecc, persone che poi non vedrò neanche fermarsi al rifugio per un saluto. Se questa è l’evoluzione della montagna noi (gestori di rifugio, agricoltori, guide alpine, montanari) spariremo e non ci sarà più nessuno a spiegare le condizioni della gita, pulire un sentiero o a richiodare una via d’arrampicata.
Ma se la maggioranza delle categorie legate al turismo in montagna si impegna principalmente ad organizzare gare, chi rimane poi a parlare e promuovere l’altra montagna? Quella di tutti i giorni, fatta di silenzi e calma, sempre più ricercata soprattutto all’estero?
Ribadisco che non voglio assolutamente condannare chi ama correre in montagna, ma vorrei che gli eventi legati a tali attività non siano gli unici utilizzati per la promozione turistica in Valle d’Aosta. Mi piacerebbe vedere gli amministratori locali e regionali, le guide alpine, gli operatori turistici, lavorare a delle importanti forme di promozione turistica dei nostri territori che vadano oltre le gare, perché abbiamo bisogno di lanciare un messaggio diverso e lungimirante. Buona montagna a tutti.
Daniele Pieiller