Madonna del Sasso è un paese di 400 abitanti arrampicato su uno dei monti che si affacciano sul lago d’Orta, in provincia di Verbania. A un primo sguardo può apparire come il luogo meno adatto per ospitare richiedenti asilo: una piccola comunità del profondo nord diffidente verso chi viene presentato, dagli imprenditori politici della paura, come un veicolo di degrado e criminalità. Eppure la realtà è spesso costellata di “ma” che rovesciano la prospettiva e aprono varchi di speranza.

Il primo “ma” è rappresentato da Ezio Barbetta, un sindaco battagliero e forte di una lunga militanza in difesa dei più deboli. Intorno a lui si è creato negli anni un gruppo di persone che ha fatto del borgo un esempio di buona amministrazione e un centro di iniziativa politica e culturale. Nel 2016 il primo cittadino e i suoi collaboratori pensano che anche la loro comunità debba fare la sua parte nell’accogliere chi fugge da guerre e miseria. «Abbiamo deciso di andare in senso inverso rispetto a quanto stava succedendo altrove – racconta Barbetta -. Non abbiamo aspettato che fosse la Prefettura a muoversi alla ricerca di spazi per ospitare queste persone, e sul tema abbiamo aperto in paese un dibattito pubblico». È proprio l’amministrazione a contattare prima l’ordine religioso “Regina Pacis”, proprietario di un immobile in paese, e poi a segnalare la disponibilità a ospitare richiedenti asilo. Contemporaneamente, viene tessuta una rete di volontari per supportare il progetto e il Comune convoca un’assemblea in piazza per discutere la proposta, nel corso della quale emergono critiche e proteste, paure e diffidenze. Parte anche una petizione che raccoglie un centinaio di firme contrarie al progetto di accoglienza, che non sono poche su 400 residenti, ma l’amministrazione va avanti. E nel settembre 2016 arrivano in paese 40 persone provenienti dall’Africa e dall’Asia.

A questo punto si presenta il secondo “ma”: la cooperativa “Azzurra”, della vicina città di Omegna. Un soggetto del terzo settore che, dal 2015, si impegna nella costruzione di un modello di accoglienza degna e di qualità. Nasce un’esperienza che diventa presto un punto di eccellenza: vengono organizzati corsi di lingua italiana e eventi culturali e sportivi, oltre ad un infopoint turistico che vede protagonisti i giovani ospiti. Alcuni richiedenti asilo si impegnano nell’assistenza a persone disabili e non autosufficienti e, grazie alla disponibilità di alcuni privati, nascono degli orti collettivi in cui gli ospiti si spendono, i cui prodotti vengono poi distribuiti nel paese. Nel frattempo Comune e Cooperativa promuovono percorsi  di inserimento lavorativo. L’ente locale, grazie al recupero dell’evasione fiscale, reperisce le risorse per avviare tirocini sia per disoccupati italiani che per i giovani accolti. La cooperativa assume alcuni dei partecipanti e si attiva nel contattare le aziende della zona per facilitare l’inserimento degli ospiti nel tessuto produttivo locale.
Parallelamente, interviene il terzo “ma” della nostra storia: la capacità delle persone e di una comunità di affrontare la complessità e avere il coraggio di tornare sui propri passi.
Le retoriche dell’odio affondano le loro coltellate nel ventre molle di un Paese incerto, disabituato a politiche virtuose capaci di tradurre le speranze in progetti concreti. Ma qui per molti abitanti del paese il “migrante” ha smesso di essere una categoria assoluta e ha preso le sembianze di un individuo in carne ed ossa. Capita che la signora, che inizialmente guardava alla vicenda con apprensione, dopo pochi mesi passi quotidianamente a chiedere se i “ragazzi” hanno bisogno di qualcosa. O che alcuni tra coloro che avevano firmato la petizione di protesta ora abbiano costruito relazioni di amicizia con persone che sono diventate compagni di calcetto o colleghi di lavoro.
Poi all’improvviso viene approvato il decreto legge “Salvini” su sicurezza e immigrazione, che si abbatte come una scure su questo percorso virtuoso. Esso non solo determina l’interruzione dell’iter che stava portando il progetto di accoglienza di Madonna del Sasso da emergenziale all’interno del circuito Sprar, ma riducendone i fondi per la gestione pone fine a questa come a tante altre esperienze fondate su un’accoglienza diffusa e capace di erogare servizi per una vera integrazione.
Il centro di accoglienza di Madonna del Sasso chiude i battenti a fine aprile 2019, ma Comune e Cooperativa si sono impegnati con efficacia, direttamente e attraverso privati e altre strutture del terzo settore, affinché nessuno dei richiedenti restasse per strada e privo di prospettive. E nemmeno nella fase finale, quella della chiusura, l’amarezza lascia spazio alla rassegnazione. Perché il percorso avviato in realtà non si è mai concluso, né per  i segni che ha lasciato nelle esistenze degli attori coinvolti né nella sua capacità di narrare la vitalità di un’Italia “periferica” ma capace di raccogliere l’esortazione di Martin Luther King a “piantare il melo, anche se domani scoppiano le bombe”.
Alyosha Matella