La presenza dell’Uomo di Neandertal nel territorio piemontese ha lasciato traccia nel complesso di grotte che si apre sul versante occidentale del Monte Fenera (Borgosesia, Vc) e in particolare nella grotta della Ciota Ciara: nel resto della regione la mancanza di indagini sistematiche condotte in questo campo fa sì che i dati a disposizione siano estremamente frammentari. Recentemente oggetto della mostra “L’Uomo di Neanderthal in Piemonte”, organizzata dall’Università degli Studi di Ferrara in collaborazione con l’Associazione culturale “3P” e la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte, tenutasi a Torino presso Villa Amoretti , la Ciota Ciara è il più importante tra i siti paleolitici del Piemonte nonché l’unico, insieme con la vicina grotta del Ciutarùn, ad aver restituito resti umani riferibili a Homo neanderthalensis.

La Ciota Ciara (670 m s.l.m) è una grotta carsica attiva, con uno sviluppo di circa 80 m lungo il ramo principale, che presenta due accessi: un’imboccatura triangolare a sud-ovest e un’apertura secondaria a ovest, originatasi dal crollo di una porzione della parete della grotta. Indagini di carattere naturalistico e archeologico sono state condotte all’interno della grotta fin dalla seconda metà del XIX secolo, ma è solo successivamente al secondo dopoguerra che gli studi sono ripresi, grazie al sorgere di iniziative locali legate all’attività personale del borgosesiano Carlo Conti e alla costituzione del GASB (Gruppo Archeo-Speleologico di Borgosesia). L’anno della svolta per le ricerche alla Ciota Ciara è il 1964 quando alcune ossa craniche, probabilmente umane, e alcuni strumenti in pietra scheggiata vengono raccolti all’imboccatura della grotta. In seguito al rinvenimento sono organizzate le prime vere e proprie campagne di scavo, che vedono l’apertura di tre sondaggi all’interno. Le ricerche si interrompono alla fine degli anni ’60, finché il rinvenimento fortuito di due denti neandertaliani nel deposito esterno della grotta riporta l’attenzione su questo sito e nuove ricerche vengono condotte dal 1991 al 1993 a opera della Soprintendenza Archeologica del Piemonte. Negli anni successivi la Ciota Ciara è ancora una volta dimenticata, fino a quando, nel 2009, l’Università degli Studi di Ferrara avvia una nuova stagione di ricerche e di scavi sistematici. L’area di scavo interessa attualmente la zona atriale della grotta e ha visto il recupero, in quattro anni di ricerche, di oltre 10.000 reperti.
Lo studio dei dati provenienti dai tre livelli archeologici indagati è affidato a un’équipe interdisciplinare formata da ricercatori, dottorandi e studenti coordinati dall’Università degli Studi di Ferrara e riguarda tutti gli aspetti dell’occupazione del sito: studio paleontologico, individuazione delle aree di approvvigionamento delle materie prime, studio tecnologico delle modalità di scheggiatura della pietra e studio funzionale degli strumenti litici.

I risultati ottenuti permettono di ricostruire sia il contesto ambientale sia la mobilità e la tecnologia dei Neandertal della Ciota Ciara. La presenza di una particolare specie di roditore (Pliomys coronensis), estinto in Italia circa 70.000 anni fa, permette inoltre di datare il sito tra 80 e 70.000 anni da oggi, in un periodo interglaciale, a clima temperato. Le altre specie identificate dallo studio paleontologico (Orso speleo, Cervo, Leone, Tasso, Volpe, Istrice, ecc.) rivelano la presenza di un ambiente misto, con foreste che coprivano la vallata e le pendici del Monte Fenera, mentre a quote più alte l’ambiente era di tipo prativo.
Lo studio dell’insieme litico rivela che le operazioni di scheggiatura della pietra avvenivano all’interno del sito utilizzando materie prime di provenienza locale, principalmente quarzo macrocristallino e spongolite (un tipo di selce caratterizzato da scarse qualità meccaniche, poco adatto alla lavorazione per ricavarne utensili), reperibili in un raggio di 5 km dal sito. L’analisi funzionale, cioè l’osservazione al microscopio delle tracce di utilizzo presenti sui margini degli strumenti, ha rivelato che essi sono stati usati principalmente per lavorare il legno e altre materie dure, mentre paiono scarse le tracce riferibili alla lavorazione di materiale carneo.
Tutti i dati raccolti concordano nel definire la Ciota Ciara come un sito di occupazione residenziale di breve/media durata, interessato dalla presenza dei gruppi neandertaliani presumibilmente durante il periodo estivo.
Gli scavi riprenderanno anche quest’anno nel mese di giugno e saranno visitabili; chiunque sia interessato può avere tutte le informazioni tramite la nostra associazione (3ppiemonte@gmail.com).
Gabriele L. F. Berruti

Per saperne di più:
Arsuaga J. L., I primi pensatori e il mondo perduto di Neandertal, Feltrinelli, 2001. 280 p. ill.

Arzarello M., Daffara S., Berruti G., Berruto G., Bertè D., Berto C., Peretto C., L’occupazione musteriana della grotta della Ciota Ciara, in “Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte”, 27, pp. 331-336. Torino.

Manzi G., L’evoluzione umana. Ominidi e uomini prima di Homo sapiens, Il Mulino, 2007. 136 p. ill.

Facchini F., Belcastro M. G., La lunga storia di Neandertal. Biologia e comportamento, Jaka Book, 2009. 326 p. ill.

WEB: http://goo.gl/6FQhX