Di Marco Bussone

È fondamentale che i Comuni, grandi e piccoli, lavorino insieme. Per la montagna questo è un punto fermo sin dal dopoguerra, quando i primi “Consigli di Valle” configuravano virtuose relazioni di Enti nella stessa valle. Per ricostruire, non disperdere i valori della Resistenza, per innestare infrastrutture. In realtà le sinergie tra Comuni hanno origine con i Comuni stessi. Cinquecento, ottocento anni di interazioni, come testimoniano gli Statuti della Valle Maira, ad esempio, oppure altri documenti storici che dicono come i campanili, nell’Italia policentrica, non abbiano mai cessato di creare relazioni.

I Consigli di Valle dicevamo, poi le Comunità montane, dal 1973, le Unioni montane di Comuni, sono soluzioni alle fragilità che continuano a crescere. Fisiche, demografiche, sociali, economiche.

Il sistema istituzionale del Paese si è indebolito con tagli e con scelte che hanno ridotto la rappresentanza dei territori. Molte Regioni – dal Piemonte all’Umbria, passando per Veneto e Sardegna – hanno chiuso le Comunità montane e alcune nulla hanno ricreato affinché i Comuni, piccoli e grandi, possano fare insieme scelte, definire politiche, agire sul futuro. Certo questa unità comporta rinunce, dialogo, intese e solo apparentemente riduce la democrazia. Gli 8000 Comuni italiani sono un patrimonio decisivo della nostra storia. Ma abbiamo imparato, almeno per le imprese e il terzo settore, che nessuno si salva da solo. Le comunità che lavorano insieme sono forti e a prova di futuro. Questo vale anche per gli Enti locali. Ma la Politica, Governi e Regioni, hanno paura a dirlo, a forzare su questo. Dà più consenso lasciare un po’ di risorse a tutti, far fare tutto a tutti. Lavorando insieme occorre organizzazione, managerialità, scelte condivise. Nelle valli alpine e appenniniche questo percorso ha una storia, nelle Comunità montane nate nel 1973. Non si improvvisa, ma un percorso tracciato c’è. Altri Paesi UE come Francia e Germania hanno riorganizzato il tessuto istituzionale e anche l’Italia, per potenziare il sistema oggi fragile, deve partire da lì. Comuni insieme, intercomunalità, oltre ogni logica municipalista e campanilista. Vinciamo la “solitudine dei sindaci”, che è una vera emergenza, aiutiamoli a lavorare insieme. Facciamo in modo che le norme e gli investimenti, compresi i bandi pubblici, facilitino questo lavoro insieme che li lascia meno soli. Decidere insieme è più difficile, ma insieme si è meno fragili.

Il Piemonte ha prima ridotto da 48 a 22 le Comunità montane, per poi maldestramente abbatterle, contro ogni parere del Consiglio delle Autonomie Locali (nell’ambito del Consiglio regionale) e le proteste di Sindaci e Associazioni di Comuni. “Dal basso” sono rinate 55 Unioni montane di Comuni. Altre 40 Unioni sono in pianura e nelle aree collinari, eredi delle “Comunità collinari”. Almeno qui, nella Regione che ha oltre metà del territorio alpino e appenninico, la tradizione e la cultura del lavoro insieme hanno permesso in parte di superare una norma che consente di fare grandi o piccole aggregazioni, senza troppe regole in base ad amicizie tra Sindaci o Segretari, sinergie vere o presunte. E la legge – nazionale in primis – consente a ogni Comune di entrare e uscire dalle Unioni (montane e non) quando meglio si preferisce. Anche di smontarle quando si vuole. Nel “quindicesimo stralcio della Carta delle forme associative” del Piemonte, del 2024, le Unioni montane sono scese a 52. E nei prossimi mesi potrebbero salire o scendere di numero, variare la composizione.

Il Veneto è riuscito a renderle più forti e più stabili individuando “ambiti territoriali ottimali”, sulla base di criteri demografici, sociali ed economici. Le Unioni montane devono essere fatte dai Comuni sul perimetro dell’ambito. Stessa così potrebbe fare il Piemonte nei prossimi mesi. Legiferando, la Regione, per fissare gli ambiti. E così evitare, non solo le “porte girevoli” delle Unioni, ma anche che per ogni “funzione” e obiettivo – acqua, rifiuti, sociale, sviluppo europeo con il Leader, programmazione, distretti vari – ci sia un ambito diverso e i Comuni siano all’interno di queste geografie in modo variabile.

Smontare oggi tutte le Unioni – c’è chi afferma non abbiano funzionato -, di fatto annullarle, con una liquidazione per poi “ripartire”, sarebbe un errore. Occorre invece perfezionare quello che c’è. Che a differenza di altre Regioni italiane esiste e non lascia i Comuni soli. I processi di rafforzamento e miglioramento delle Unioni devono essere puntualmente accompagnati dalle strutture regionali che si occupano di Enti locali e montagna. È un processo maieutico di interazione e perfezionamento di piante organiche, funzioni, organizzazione, progettualità, crowdfunding. Che non riguarda però solo l’Ente locale Unione montana, bensì tutti i Comuni che ne fanno parte. Che devono essere riorganizzati. Uncem segue con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento Affari regionali e Autonomie questi processi manageriali per la PA in diverse Unioni di Regioni italiane, con il Progetto ITALIAE finanziato dal PON Governance. Si tratta di spiegare ai Comuni che solo condividendo funzioni, organizzando meglio uffici e spese, facendo perequazione urbanistica e fiscale possono essere al passo col futuro, tra tagli che arriveranno, alla spesa corrente e agli investimenti, e crisi demografica che di fatto già oggi indebolisce tutte le realtà amministrative. Riorganizzare deve portare efficientamento, non basta dire “fondiamo tutti i piccoli Comuni” dall’alto, non serve. Non basta neanche insistere per evitare i tagli, quando comunque la crisi demografica porta minori gettiti nelle casse degli Enti. Sono però le Regioni a dover partire, con una riforma che, sull’esempio francese, le riconfiguri. Possono scendere da 20 a 10? E le Province, che molti rivogliono, ha ancora senso siano 110? O non è forse meglio tornare alle 70 di qualche decennio fa? Così i Comuni. Interroghiamoci sul percorso migliore. È un tema fuori dal mainstream politico mediatico, ma decisivo. Governance, forma di stato, gradi di autonomia e ruolo delle Autonomie. Non è semplificabile tutto con fusioni di Comuni imposte dall’alto, ma serve incentivare il lavoro insieme dei Comuni, di più e migliore, con Unioni. Che nelle Alpi e negli Appennini governano democratici processi di sviluppo economico, con funzioni proprie e una fiscalità che ha la base nella valorizzazione (pagata) dei servizi ecosistemici che la montagna garantisce a tutti. Acqua, clima, foreste hanno un valore che la montagna rivendica, al posto di assistenzialismo e questua.

Patti e alleanze. Tra Comuni, tra Unioni, con le Città. Recuperando una coesione di un Paese che o sarà più unito, o non sarà.