Ad aggiudicarsi il Premio fotografia italiana under 40 è Alessio Zemoz, giovane artista valdostano di 31 anni, con il suo progetto dal titolo “Lo Vàco-il vuoto, un’indagine sui paesaggi abbandonati della Valle d’Aosta”. Ad assegnare il premio è stata una prestigiosa giuria internazionale, la stessa che incorona il vincitore con il Premio internazionale per la fotografia.

Il termine “lo vàco”, nel dialetto franco-provenzale, indica tutti quegli spazi, quei territori che gradualmente sono stati ‘dimenticati’ e versano oggi in uno stato di abbandono in quanto non esiste alcun progetto o intenzione che li veda coinvolti. L’intenzione del fotografo è dunque quella di rendere protagonista, attraverso un racconto fatto di immagini e di storie, il vuoto che riempie le cose che evocano il vuoto. Il primo passo della ricerca si è basato sulla raccolta delle diverse prospettive dalle quali gli abitanti dei territori guardano il paesaggio rurale valdostano in decadimento. L’attenzione fotografica di questo progetto non comprende i maestosi paesaggi di alta montagna ma si focalizza sulle zone della montagna media, tra i 700 e i 1800 metri, quella che rappresenta il punto di attraversamento e di comunicazione verso i centri sciistici o le altre località di interesse e che raramente rappresenta essa stessa la meta.

Abbiamo contattato Alessio Zemoz per domandargli da che cosa è nata l’idea del suo progetto.
«Valentina Manella, l’antropologa con cui ho lavorato, è mia coetanea e ci siamo ritrovati entrambi a voler impostare la nostra esistenza nei territori della Valle d’Aosta dove siamo nati e cresciuti. Ci siamo formati fuori Valle ciascuno nel proprio ambito di riferimento: la fotografia per quanto riguarda me e l’antropologia per quanto riguarda Valentina. L’idea pertanto nasce dalla condivisione di questa condizione, di un certo modo di pensare e vivere la montagna, dal desiderio di capire in profondità e di raccontare, e infine da un orizzonte progettuale: entrambi stavamo concentrando il nostro sguardo sul nostro territorio, sulla sua percezione, ciascuno con i propri strumenti. Entrambi stavamo portando avanti le nostre ricerche che in ultimo hanno dato origine alla progettualità de “lo vàco – il vuoto” intesa come operazione integrata di antropologia ambientale e arte visiva. Credo che sia stata proprio questa formula vincolata alla condivisione e alla sinergia a garantire la solidità dell’operazione».
Come hai sviluppato la tua idea attraverso la collaborazione con Valentina Manella?
«La collaborazione si è rivelata decisiva. Le due anime del progetto sono parimenti fondative e forniscono vicendevolmente chiavi di lettura e accessi molteplici: la ricerca scientifica/antropologica supporta quella artistica/emozionale/narrativa e viceversa. Abbiamo lavorato con tempi e modalità diverse, spesso in autonomia, pur condividendo passaggi importanti come alcune fasi sperimentali negli istituti scolastici, interviste e progettazione artistica. Nella mostra presso il Foro Boario di Modena è stato dedicato uno spazio alla fruizione del libretto che sintetizza l’esito della ricerca scientifica».
Quali sono i tuoi progetti futuri?
«Senza dubbio esiste il desiderio di elaborare nuove progettualità, integrate e condivise, dedicate al contesto della montagna. Il progetto SKIA, laboratorio sperimentale dedicato alla fotografia d’arte contemporanea e di montagna, nasce e lavora proprio per questa ragione: sostenere, progettare e realizzare iniziative di ricerca nell’ambito della fotografia di e in montagna con particolare attenzione al contesto del contemporaneo. Le idee sono molte proprio perché siamo consapevoli di quanto il territorio alpino sia articolato e complesso e dunque ricco e affascinante!».


Il concorso, promosso dalla Fondazione Fotografia, SkyArte e Unicredit e volto alla partecipazione di artisti italiani emergenti che operano attraverso i diversi linguaggi dell’immagine, ha visto nel progetto di Alessio uno straordinario spaccato dell’identità del territorio di origine dell’artista. Partendo dal presupposto che non è possibile fotografare il vuoto Zemoz, nelle sue fotografie, cerca di rappresentarlo attraverso scatti di paesaggio e foto di famiglia, a testimonianza del legame indissolubile tra i luoghi e le persone, due concetti inseparabili quando si parla dei territori alpini della regione. Obiettivo del progetto non è quello di suscitare nostalgia presentando vecchie foto in bianco e nero di tempi ormai remoti ma di evidenziare come, con la progressiva scomparsa del passato, ne scompaia anche il senso. Il premio assegnatogli gli dà conferma delle sue convinzioni. Alessio sottolinea come l’odierno paesaggio venga definito dai suoi stessi abitanti, soprattutto i più anziani, non “brutto” o “abbandonato” ma “vuoto”: il vuoto che hai davanti agli occhi è anche il vuoto che hai dentro di te. Un vuoto che non si può fotografare, esprimibile solo attraverso la generazione di un senso e in una logica che sia protesa alla condivisione di forme di sviluppo consapevoli.
Stefano Angiolillo

Lo Vàco-il Vuoto