Oggi si è di fronte ad un cambiamento nelle dinamiche territoriali della montagna e dei territori alpini. Non si può parlare solo più di espansione edilizia nei centri a vocazione turistica, di urbanizzazione dei fondovalle alpini e di spopolamento delle aree fragili: stiamo assistendo all’implementazione di dinamiche diverse, altre rispetto al passato.
Recenti analisi hanno permesso di rilevare l’esistenza di un fenomeno di ripopolamento, seppur ancora limitato nei territori e nei numeri, all’interno delle Alpi, anche in quelle aree tradizionalmente marginali, dei montanari “perdenti” descritti da Nuto Revelli. Parallelamente a questo fenomeno, si può osservare, sulla base di recenti dati statistici, che il Piemonte ad esempio è la regione che registra un valore positivo in netta controtendenza (+13,1%) per quel che riguarda la superficie agricola utilizzata. In questa regione si è infatti arrestata la diminuzione delle aziende agricole. Dunque, un fenomeno di ritorno alla terra. Ancora, come si legge in alcune note dell’Uncem, il recente bando per il recupero delle borgate è stato un vero successo, molte le manifestazioni di interesse a investire anche in assenza di contributi a fondo perduto nella rivitalizzazione economica e sociale delle borgate attraverso anzitutto un recupero sapiente del patrimonio architettonico.
Siamo chiaramente di fronte a dinamiche territoriali basate su un movimento verso la montagna. Una sorta di risalita con un carattere culturale e sociale, espressione di un modo diverso di essere montanari. Si tratta di un ritorno portato avanti più che altro dall’essere abitanti nuovi della montagna, abitanti consapevoli, i quali danno vita a nuove forme di territorialità costruita e intenzionale e a processi di ibridazione culturale che creano nuove identità alpine. Ed è in questo processo di risalita che si consolidano nuove immagini di paesaggio montano: dalla ristrutturazione dell’esistente patrimonio immobiliare rurale, alla ripresa di antiche coltivazioni, al recupero di vaste porzioni di terra sottoposte a un processo di rinaturalizzazione, alla creazione di nuovi mestieri, ecc.
Tutte ciò sollecita un ri-pensamento delle politiche e dei programmi a sostegno dello sviluppo locale in ambito alpino. Un ripensamento che deve partire proprio dalla consapevolezza delle dinamiche stesse che in questi territori si stanno attuando – cambiamenti demografici, creazione di nuove immagini di paesaggio, costruzione di una socialità rurale altra, ecc. – e che da questa consapevolezza deve muovere verso una ri-definizione dei bisogni e delle potenzialità locali, facendo emergere la pluralità dei quadri di senso del locale, le differenti percezioni, identità e immagini che si costruiscono all’interno del singolo locale.
Per fare questo è importante far emergere la conoscenza e la progettualità locale, specialmente quella che non entra nelle maglie della progettualità istituzionale ma che piuttosto si auto-organizza: storie di vita in cui il progetto economico in montagna è anche e soprattutto un progetto di vita.
In parte, questa complessità del territorio è stata restituita ed è entrata nella stagione dello sviluppo locale iniziata negli anni Novanta ma con molte (ancora troppe) ombre che non hanno trovato ad oggi una definizione.
Allora, vista proprio la capacità della montagna (almeno di alcune parti di essa anche non tradizionalmente attive) di essere in questa fase difficile dello sviluppo un laboratorio sperimentale di innovazione, vi è uno stimolo a ri-pensare a metodi, strumenti e obiettivi dello sviluppo locale montano (ma non solo) a partire da:
– in primo luogo, un linguaggio che consenta il dialogo, lo scambio e la trasmissione di informazioni sul/nel territorio fra sapere esperto e sapere locale, cercando di superare quella babele di linguaggi, teorici, tecnici ecc. che ha reso in passato farraginosa e non sempre efficace la costruzione degli obiettivi territoriali;
– in secondo luogo, un aggiornamento degli strumenti di analisi e conoscenza territoriale che punti alla valorizzazione delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, nell’ottica, da un lato, di introdurre metodologie di analisi che restituiscano quegli aspetti qualitativi del territorio che sfuggono alle indagini tradizionali; e dall’altro lato, di sperimentare forme diverse di comunicazione, quelle che fanno parte della quotidianità, favorendo così una partecipazione del territorio che intercetta una pluralità di soggetti e voci, anche quelle deboli e dissonanti;
– infine, una ridefinizione delle immagini territoriali che, soprattutto per quel che riguarda la montagna, non corrispondono più alla realtà dei contesti montani, alpini in particolare, ormai portatori di innovazione, con bisogni e desideri altri rispetto a quelli affrontati nelle politiche tradizionali per la montagna.
Federica Corrado