L’epidemia di Covid-19 ci ha costretto a rimanere chiusi in casa e a limitare il più possibile gli spostamenti; non sono più possibili passeggiate, escursioni, movimenti lungo le strade. Mezzo pianeta si trova al momento sospeso, ma la natura non si ferma. Appare ironico osservare da dentro le nostre case lo sbocciare della primavera nel pieno della pandemia. A Milano, le lepri hanno conquistato un giardinetto di quartiere, tra la ferrovia e la tangenziale; in provincia di Firenze, i lupi sono stati avvistati nei paesi, mentre a Venezia le acque dei canali tornano cristalline e piene di pesci. I delfini nuotano nel porto di Cagliari mentre i cinghiali scorrazzano di sera nelle vie di diverse città in cerca di cibo. Addirittura, allo zoo di Hong Kong, grazie all’assenza di esseri umani, una coppia di panda è riuscita ad accoppiarsi per la prima volta dopo dieci anni.
Rimaniamo affascinati dal vedere, attraverso i sistemi di comunicazione e i social, gli animali prendere possesso dei “nostri” spazi dopo appena poche settimane dal fermo delle nostre attività e probabilmente anche la fauna stessa si è trovata sorpresa da questa maggior tranquillità. C’è meno disturbo e anche le zone urbane diventano accessibili, quindi nei nostri brevi e necessari spostamenti ci può capitare di fare incontri imprevisti.
Dal nostro isolamento nelle nostre case, proviamo da una parte un senso di meraviglia per la natura in città, ma dall’altra parte, potremmo usare questo tempo per interrogarci su quale sia stato finora il nostro rapporto con la fauna selvatica e su come ce lo immaginiamo dopo questa pandemia.
Abbiamo visto video di tassi nel centro delle città, daini che entrano nei giardini, che passeggiano nei viali della movida, uccelli che fanno nidi nei posti più impensabili.
Sono immagini sicuramente interessanti e curiose.

La cosa ci può sembrare strana, non siamo abituati a immagini di questo tipo, sempre presi dalle nostre attività e sempre in movimento. Anzi, spesso, consideriamo la fauna selvatica un disturbo, basti pensare a quando ce la troviamo davanti mentre siamo in auto o quando un pipistrello ci vola in casa.
In realtà, gli animali selvatici sono sempre stati intorno alle nostre città, non sono arrivati adesso. C’erano già, sui margini dei prati, dei boschi, negli argini dei fiumi, anche dei più piccoli. Ma adesso trovano più “coraggio” di muoversi perché non sono infastiditi da noi.
Questa situazione ci dovrebbe invitare a riflettere sul potere rigenerante che ha la natura.
La natura riempie ogni spazio lasciato vuoto: le erbacce crescono nella terra incolta; gli uccelli sono sempre pronti a colonizzare ogni tipo di habitat umano, dalle sporgenze delle costruzioni alle discariche di detriti nei laghi e fino alle vecchie miniere. Quello che stiamo osservando è la caratteristica principale della natura: una grande adattabilità e un comportamento opportunistico per sfruttare le risorse che in questo momento non sono usate dalle persone, per affrontare i rapidi cambiamenti.
Vorrei citare Giovanni Bellotti, architetto italiano ma di stanza a Rotterdam dove ha fondato Studio Ossidiana con Alessandra Covini: “Questa interruzione forzata è un’occasione per riflettere sulla prossimità tra gli animali e l’uomo, l’occasione per negoziare nuove forme di prossimità e distanza. La pandemia di Coronavirus ci rende consapevoli che non ci sono più confini: gli umani sono dappertutto, non c’è più un esterno, viviamo tutti in un grande interno planetario, senza spazi per isolarci, o in cui isolare altre specie. Sempre più spesso i nostri sono esercizi di coesistenza con il mondo naturale. E spostare la soglia, anche di poco, porta a riscoprire la fauna e la flora che cambiano in un batter d’occhio, nel giro di una marea. Questa nuova strana normalità andrebbe coltivata per riscoprire altri tipi di bellezza e di comportamenti. C’è la paura, ma anche lo stupore della scoperta” (https://bit.ly/3cHfGlq).

Oltre a ciò che sta accadendo nelle nostre città, ci possiamo interrogare su cosa stia accadendo alle aree turistiche montane oggi deserte, o su come i parchi naturali stiano vivendo questa assenza di visitatori. Le aree montane proseguono con le loro attività – gli animali da reddito hanno comunque bisogno di gestione e di cure. Chiaramente, l’assenza di visitatori, rende più difficile la vendita diretta dei loro prodotti. A tal fine, molte aziende agricole hanno stabilito una sorta di nuova alleanza con le aree protette.
Dal canto loro, i parchi naturali senza visitatori sembrano quasi un controsenso, dato che essi nascono proprio per preservare le risorse naturali e anche per permettere alle persone di conoscere la natura e di (ri)-trovare un contatto diretto con essa. Le aree protette, in assenza di visitatori, hanno deciso di portare avanti delle attività alternative, per far sì che le persone possano godere della natura e dei suoi prodotti.
Possiamo portare l’esempio del Parco Naturale Paneveggio San Martino, in Trentino, che propone dei tour virtuali, ammirando foto a 360°, o percorrendo virtualmente i propri sentieri con l’aiuto di Google Street view (https://www.parcopan.org/i-tour-virtuali-del-parco/); o anche il Gran virtual tour italiano dei musei e dei parchi italiani, coordinato dal MiBact, comodamente visitabili dal proprio divano, per essere poi pronti ad andarci realmente, quando le condizioni lo permetteranno (https://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/visualizza_asset.html_1239486882.html)
Il Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga in Abruzzo, ha avviato il progetto #iosostengolacomunità, attraverso il quale il consumatore, pur stando a casa e nonostante le restrizioni ed i sacrifici richiesti, può continuare a gustare la genuinità dei prodotti della propria terra, mettendosi in contatto direttamente con le aziende agricole locali, sostenendo così il lavoro dei contadini.
Un’altra iniziativa degna di nota è quella del Parco Naturale Regionale Monti Simbruini nel Lazio, che ha deciso di far fare ai visitatori delle gite virtuali per apprezzare tutti gli aspetti naturalistici e culturali del Parco, in modo tale da poter approfondire la conoscenza di questo meraviglioso territorio per poi andarlo a scoprire quando sarà possibile.
Riguardo la fauna selvatica nei parchi, sicuramente anche qui l’assenza di visitatori renderà la vita degli animali più tranquilla ed essi si approprieranno degli spazi lasciati vuoti. Anche i boschi, lasciati senza gestione ordinaria, “invaderanno” le aree aperte – per quanto in un margine di tempo molto più lungo. Sicuramente la natura beneficia della nostra assenza, ma tutto questo, una volta che l’emergenza finirà, cosa potrà insegnarci?
Forse che, come detto sopra, possiamo riscoprire nuove forme di prossimità con la fauna selvatica, consentendo l’accesso alle aree naturali ad un numero limitato di visitatori, cercando di calcolare quella che viene chiamata “carrying capacity” o capacità portante, affinché possiamo godere della natura senza impattare in maniera insostenibile su di essa. O anche quanto ci doni gioia osservare gli animali in libertà, conoscendoli e rispettando i loro spazi, senza voler essere sempre dappertutto, scoprendo nuove forme di turismo lento e sostenibile. Inoltre, quanto sia importante avere degli ecosistemi sani che apportano concreti benefici alla nostra vita.
Siamo noi i responsabili di questa epidemia, a causa del nostro stile di vita insostenibile e del pessimo rapporto che abbiamo avuto con la fauna selvatica, come ci dimostrano le condizioni in cui vengono tenuti gli animali in quei “wet markets” come quello di Wuhan. Dalla deforestazione al consumo eccessivo di carne, dalla crescita incontrollata alla medicina tradizionale cinese, i cui prodotti si basano in gran parte sulla fauna selvatica, il periodo di isolamento ci dovrebbe portare a riflettere sulla necessità di adottare un atteggiamento diverso e più rispettoso delle altre specie viventi, invece di stare ad aspettare che tutto torni alla normalità, perché è la normalità che ha creato questa situazione.
Filippo Favilli, Eurac