Il guasto che si è verificato l’8 settembre scorso lungo la liaison, primo troncone francese della funivia del Monte Bianco che collega l’Aiguille du Midi (3842 m) a Punta Helbronner (3462 m al confine con l’Italia), ha destato grande clamore mediatico. Sono rimaste coinvolte – fortunatamente senza conseguenze – oltre 100 persone, bloccate all’interno degli ovetti trenta metri sopra la conca glaciale del Gigante, ad oltre 3000 metri di quota.
Una scenografica e tempestiva maxi-operazione di soccorso, che ha coinvolto diversi elicotteri e decine di operatori francesi e italiani, ha permesso di evacuare la gran parte dei turisti e degli alpinisti prigionieri, costringendo a uno scomodo pernottamento solo 17 persone. Come si è letto nell’interessante articolo di Enrico Martinet apparso su La Stampa dell’11 settembre, ciò che colpisce è la scarsa consapevolezza degli utenti riguardo a ciò che è loro accaduto. Le persone bloccate nelle cabine, da come si è appreso dalla maggior parte delle testimonianze, non hanno infatti percepito il pericolo occorso nella sua gravità: rimanere appesi per ore a quella quota, decine di metri sopra un ghiacciaio, in balìa di venti molto forti che potevano trasformare un disguido tecnico in una tragedia. Ciò pone ancora una volta la questione della consapevolezza da parte delle folle turistiche rispetto all’ambiente alpino in cui improvvisamente si trovano proiettate.

Anche se l’utente si aspetta – giustamente – il perfetto funzionamento della macchina cui si affida, le dichiarazioni riportate richiamano qualcosa di non dissimile dagli episodi di sottovalutazione del rischio che ultimamente si ripetono con continuità in alta quota: si vedano le famiglie “a passeggio” slegate tra i crepacci, sempre più spesso immortalate al Colle del Gigante.
Ma il tema della sicurezza in montagna non è forse strettamente collegato all’affluenza? Se si traghettano decine di persone (ricordiamo che Skyway e la funivia dell’Aiguille du Midi garantiscono ciascuna una portata oraria di 600 persone) in un luogo fortemente attrattivo dal punto di vista paesaggistico ma allo stesso tempo ostile, è tutto sommato normale che si verifichino episodi di imprudenza come quelli della scorsa estate. Questa non è che l’altra faccia della stessa medaglia.
Sui grandi numeri è infatti impossibile pensare di avere persone preparate alla montagna: la funivia è per tutti, per una utenza non selezionata, che probabilmente supera per la prima volta la soglia dei “3000”, e che non è attrezzata. Dopotutto per stare nelle comode cabine è sufficiente un paio di scarpe da città e al massimo un maglione, un pile o un piumino leggero.
Ripercorriamo un po’ di storia: la Funivia dei Ghiacciai fu ideata verso la fine degli anni quaranta dal visionario ingegnere Dino Lora Totino con l’intento di collegare Courmayeur con Chamonix passando al di sopra dei ghiacciai della Vallée Blanche. Il tratto tra l’Aiguille du Midi e Punta Helbronner fu iniziato nel 1954 e terminato nel 1958, con enormi difficoltà legate non solo alle estreme condizioni climatiche del cantiere ma anche ai problemi strutturali e tecnici – dovuti all’impossibilità di poter fondare solidi piloni lungo la tratta – che hanno costretto ad ingegnose quanto funamboliche soluzioni come il “pilone sospeso” al di sopra del Col Flambeau.
Si trattava di un’opera estremamente ardita, in linea con lo spirito dell’epoca, in cui la volontà di potenza della tecnica costituiva uno degli aspetti della modernità.
Una parabola che probabilmente è finita, almeno dal punto di vista del significato, il 16 agosto del 1988: sotto l’egida di Mountain Wilderness, Reinhold Messner con Alessandro Gogna e Roland Losso si fanno portavoce di un’embrionale sensibilità ecologica alpina e salgono simbolicamente sul pilone all’altezza del Flambeau, per appendere lo striscione “Non à la télécabine”, reclamando la liberazione dai deturpanti impianti costruiti nel tempo sul massiccio.
Oggi, quanto accaduto offre il pretesto per aprire nuovamente il tema: la nuova Skyway funziona a pieno regime e l’Aiguille du Midi continua ad esercitare la sua straordinaria capacità di richiamo, grazie anche alle ultime spettacolari attrazioni come il vertiginoso balcon.

Cosa succederà nel momento in cui la tratta Midi-Helbronner, vista l’imminente “scadenza” del vecchio impianto, dovrà essere sostituita? Che fare?
La risposta non può essere scontata e acritica. Non si tratterà più solo di un problema tecnico di lotta contro la “gravità”. Sarà una scelta che dovrà necessariamente confrontarsi sì con le condizioni al contorno, oggi completamente mutate rispetto a decenni fa, ma soprattutto con i modelli che decidiamo di adottare per il futuro del territorio alpino.
Da parte nostra crediamo che sia fondamentale aprire un confronto sul tema, al fine di mettere a punto un modello che possa andare oltre i campanilismi e l’anacronistica retorica di conquista della montagna e del primato a tutti i costi. Una sensibilità più attuale e matura suggerirebbe piuttosto una valorizzazione culturale, paesaggistica, storica, alpinistica del massiccio nel suo complesso, attraverso metodi di fruizione più consapevole.
Roberto Dini e Stefano Girodo