Quando si considera l’Alto Adige – dove è nato e da sempre ha la sua sede Eurac Research – è facile che venga in mente un’isola felice tra i monti, associata agli inconfondibili profili delle Dolomiti, Patrimonio Mondiale UNESCO. In effetti la provincia di Bolzano è al primo posto fra le regioni italiane per ricchezza prodotta e reddito pro capite; si colloca tra le regioni più virtuose d’Europa per bassi tassi di disoccupazione: nel primo trimestre del 2018 il tasso di disoccupazione è stato pari al 2,7%, rispetto al 10,9% della media italiana. Ad una economia in crescita, ad una buona performance del mercato del lavoro, ad un sistema territoriale favorevole per le imprese innovative (in aumento l’indotto legato all’automotive, la meccatronica, l’edilizia bio sostenibile) si aggiunge un’alta qualità della vita. Secondo una recente classifica del Sole 24 Ore la provincia di Bolzano si piazza seconda a livello nazionale per quanto riguarda ricchezza e consumi, giustizia e sicurezza. L’attenzione nei confronti dell’ambiente e all’uso delle energie rinnovabili è molto alta e lo dimostrano non solo la cura per il paesaggio, i chilometri di piste ciclabili e il numero degli edifici certificati casa Klima, ma anche i progetti verdi in cui la città si vede coinvolta.
L’Alto Adige appare quindi dall’esterno come un territorio ricco, senza problemi, senza minacce. Un territorio che spesso viene presentato e percepito, nei media come nel dibattito tra gli studiosi montani, come un unicum nel panorama alpino italiano: qualcosa di profondamente e intrinsecamente diverso dal resto delle montagne del nostro paese, in termini tanto di traiettorie di sviluppo, quanto di modelli socio-culturali. Questa rappresentazione non è priva di fondamento, eppure finisce col reificare processi storici, portati identitari e linguistici, vantaggi di posizione geografica, prerogative legate all’autonomia politica, riconducendo tutto ad una lettura di fatto molto semplificata e superficiale di questo territorio. I “monti del Tirolo” cantati dagli gnomi della storica pubblicità Loacker, quello spazio simbolico prima che fisico, a cavallo tra fiaba per bambini e marketizzazione estrema, rivelano ad uno sguardo più approfondito molti versanti in ombra, dentro una orografia socio-spaziale complessa.
I progetti condotti da Eurac negli ultimi anni mettono in luce, accanto alla presenza di modelli di gestione e valorizzazione della montagna presi ad esempio in Italia come all’estero, una poco nota costellazione di criticità e minacce. Alcune di queste sono riconducibili all’eccessivo sfruttamento del territorio per fini turistici. L’Alto Adige a livello alpino è la regione con il maggior numero di posti letto e di pernottamenti per 100 abitanti (oltre 1500 notti e 100 posti letto per 100 abitanti nel 2015). Recentemente in un convegno tenutosi in Eurac, dedicato al fenomeno dell’overtourism, si è discusso di come alcune destinazioni soffrano di sovraffollamento, di come abbiano superato la propria carrying capacity, accogliendo una quantità troppo elevata di visitatori. Si è discusso di come alcune città, quali Venezia o Sirmione, abbiano già istallato tornelli per limitare l’accesso di turisti e di quali strategie ci si possa dotare non per attrarre persone – obiettivo che invece hanno la quasi totalità dei centri alpini italiani – ma per re-indirizzare i flussi verso altre località e per selezionarne le modalità di fruizione del territorio.
Un’altra criticità è legata all’impatto ambientale dovuto al trasporto merci e passeggeri lungo il corridoio Modena-Brennero. Il flusso di autoarticolati è in costante crescita da anni, in relazione alle difficoltà di implementazione a livello europeo di una politica per il trasporto ferroviario efficiente: dai poli logistici della Pianura Padana e delle regioni d’Oltralpe francesi a quelli dell’Europa orientale e centro-settentrionale corre un unico nastro trasportatore di merci, che si infila dritto nella valle dell’Adige, verso l’imbuto del passo del Brennero. Bolzano è esattamente nel mezzo di questo flusso. La qualità dell’aria da tempo va peggiorando, in assenza per ora di interventi risolutivi: il tunnel sotto il passo del Brennero, i cui lavori di scavo sono appena iniziati, non sembra comunque in grado di impattare significativamente su questi problemi. A questo tipo di traffico si aggiunge quello veicolare privato, legato innanzitutto ai già citati spostamenti per turismo. Dati recenti elaborati da Eurac ci dicono che circa l’80% dei visitatori giunge nella regione con la propria auto, nonostante l’efficiente rete locale del trasporto pubblico, che soffre tuttavia di una non altrettanto efficiente connessione transfrontaliera tra il livello locale e quello internazionale. Ma anche il fenomeno del pendolarismo mostra un impatto importante: è significativo il numero di lavoratori che si recano quotidianamente in auto dall’Alto Adige in Svizzera o in Austria, dove i salari sono più alti di quelli locali.
L’agro-alimentare, settore di punta della regione su cui tanta parte della sua immagine pubblica e commerciale è stata costruita nel corso di decenni, è un altro ambito ricco di contraddizioni: la crescente certificazione biologica dei prodotti locali e la loro elevata qualità si accompagnano a criticità dovute, per esempio, all’estesa diffusione della monocoltura (delle mele ma anche della vite), con un impatto sia in termini di rischio per la salute umana (è il caso della controversa questione dei pesticidi utilizzati nelle coltivazioni, con il correlato di forme tumorali in crescita in alcune aree) sia di perdita della biodiversità e di eccessivo sfruttamento dei terreni, sottoposti a stress da mancata rotazione delle colture.
Visto in questa luce l’Alto Adige è dunque un territorio fragile, come tutti gli ecosistemi alpini. Un territorio, per certi versi, ancora più fragile di tanti altri, spesso colpiti da decenni di spopolamento, fenomeno che in questa regione non è presente, in quanto unica area montana italiana con un saldo demografico naturale positivo (si fanno ancora figli, insomma, e i giovani non scappano appena possibile dalle loro montagne). Più fragile perché particolarmente esposto alla globalizzazione, a quei processi su scala transnazionale che si manifestano proprio, tra gli altri, con i fenomeni sopra citati: iper turistizzazione, iper mobilità, iper sfruttamento del suolo.
L’Alto Adige si configura come un tassello fondamentale per la costruzione di uno Spazio alpino europeo (quello a cui tende la strategia Eusalp della Ue), inteso come hub montano di servizi (turistici ma anche eco-sistemici), cerniera di connessione nord-sud (con una crescente direttrice verso est e i nuovi Paesi membri dell’Unione), ambito di compensazione e riequilibrio per le vicine aree metropolitane (dalla Svizzera alla Baviera e al Tirolo austriaco), e non da ultimo “serbatoio culturale” in termini di valori, tradizioni, rappresentazioni simboliche della montagna e delle sue genti, su cui investire ancora una volta in termini di marketing (turistico, eno-gastronomico, museale, …) cosí come di contrappeso rispetto alla deriva verso i non luoghi e lo spaesamento identitario, connessa ai processi globali di progressivo sganciamento delle relazioni dai loro contesti territoriali.
A fronte di questa peculiare fragilità, l’Alto Adige gode tuttavia di specifiche risorse, non solo e non tanto legate alla sua morfologia e al suo ambiente (che, pur patrimonio dell’umanità, paradossalmente possono rappresentare una minaccia per la qualità della vita dei suoi abitanti, rispetto all’iper sfruttamento sopra discusso e agli effetti del cambiamento climatico) ma piuttosto di ordine proprio culturale e sociale, evidenziate dalle caratteristiche (queste sì un unicum alpino) che qui ha assunto l’istituto dell’Autonomia speciale.
La “cassetta degli attrezzi” con cui questa regione ha affrontato negli anni la trasformazione delle Alpi in rapporto alla fine del ciclo industriale e all’avvento della globalizzazione è dotata di strumenti quali innanzitutto la capacità di investimento e di moltiplicazione delle risorse finanziarie mantenute sul territorio (che non deriva meccanicamente dallo Statuto speciale, come ci insegna il caso di altre regioni italiane), ma anche il potenziale di innovazione culturale costituito dal multilinguismo e dalla compresenza costruttiva che infine sono riusciti a realizzare popoli diversi, che oggi si sentono prima di tutto altoatesini e poi “italiani” e/o “tedeschi”, nonostante l’odio etnico e le politiche razziste che il ventennio fascista aveva qui promosso con particolare violenza. E poi gli strumenti del civismo, del senso etico della comunità e della conseguente responsabilità verso la cosa pubblica, che coincide molto concretamente con il territorio e la gente “che stanno intorno”, con quella che si potrebbe forse chiamare (ma non lo faremo, per non essere fraintesi da chi usa politicamente questo concetto) la propria heimat, o, piú prosaicamente, la propria casa comune.
Le Alpi viste dall’Alto Adige sono dunque complesse, articolate, ricche di vuoti e di pieni, in movimento. Sono uno degli spazi più avanzati dei processi di iper-modernizzazione del vecchio continente, quanto di più lontano dagli stereotipi del villaggio museificato e della nostalgia passatista. Viste dalle vetrate di Eurac, aperte sul corno dello Sciliar e sul nuovo Parco Tecnologico di Bolzano, le Alpi sono una delle più grandi sfide da affrontare per l’Europa del nuovo millennio.
Andrea Membretti e Elisa Ravazzoli (Eurac Research, Istituto per lo Sviluppo Regionale)
Molto interessante, con una comunicazione essenziale e realistica, che ben inquadra la situazione attraverso ad una lettura sistemica del territorio alto-atesino.
Complimenti ad Andrea ed Elisa, davvero molto bravi.