Dopo aver esaminato nella prima puntata di questo viaggio le Scelte di vita che hanno mosso persone diverse a spostarsi in quota e affrontato nella seconda puntata della rubrica gli aspetti sociali del vivere e lavorare nelle terre alte, ci faremo accompagnare dai gestori di alcuni Luoghi della rete di turismo responsabile Sweet Mountains nei districati settori della ristrutturazione per scoprire quali progetti, regole e intenzioni stabiliscano il recupero architettonico di una struttura ricettiva sopra i 600 metri di quota, tra tutela del patrimonio esistente, progettazione di qualità e strategie di sviluppo locale sostenibile.
La ristrutturazione di una struttura ricettiva parte da lontano: l’ideazione, gli obiettivi, le scelte sono fondamentali ben prima della messa in opera dei lavori. Al centro, la volontà di coniugare modernità, tradizione, sostenibilità e rispetto del paesaggio, con una particolare attenzione ai materiali, ricercati nel territorio circostante, all’arredamento degli interni, disegnato per ospiti attenti alla tradizione architettonica locale che non vogliono rinunciare al comfort e al piacere della vacanza, e senza tralasciare il lato naturale e originale dell’abitazione.
Casaclima
Caso emblematico della progettazione sostenibile in montagna è la locanda occitana Lou Pitavin di Marmora (Val Maira, CN), riconosciuta per essere diventata il primo ClimaHotel del Nord-Ovest, tra Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Valeria Ariaudo e Marco Andreis gestiscono la struttura dal 2000 e nel 2012; quando hanno deciso di ampliare la struttura, l’hanno fatto in grande, con un’offerta per quanti desiderano vivere e viaggiare in modo sostenibile senza rinunciare al piacere, con un occhio puntato all’ambiente e alla sua tutela e l’altro al portafogli. Il sigillo di qualità ClimaHotel si basa sui tre pilastri portanti della sostenibilità: ecologia, economia e aspetti socio-culturali. Assegnato dall’Agenzia CasaClima di Bolzano, ClimaHotel è un marchio riconosciuto a livello nazionale e internazionale come uno dei migliori esempi in fatto di risparmio energetico e sostenibilità che introduce all’interno delle strutture alberghiere misure tecniche e strategiche di gestione coerenti con uno sviluppo sostenibile dell’attività turistica.
«Lou Pitavin ha un limitatissimo fabbisogno energetico che è coperto da una caldaia a biomassa alimentata con il legname della valle – racconta Marco –. Arredi e rivestimenti interni, scelti con cura per il benessere degli ospiti, sono privi di formaldeide. I serramenti, ad esempio, sono semplicemente termo trattati, un procedimento che garantisce la durabilità nel tempo senza trattamenti chimici, così come le pavimentazioni. Abbandonato il cemento, abbiamo utilizzato intonaci in terra cruda o calce e grazie a un modernissimo sistema di ventilazione meccanica controllata riusciamo a garantire un ricambio continuo dell’aria senza dispersione di calore».
Il km 0 è uno dei punti cardine della proposta di Valeria e Marco, così come l’offerta di prodotti genuini di stagione e la scelta della filiera corta, con l’intento di valorizzare le produzioni di prossimità, favorire l’indotto locale e ridurre l’impatto ambientale dei trasporti.
«I controlli dell’Agenzia CasaClima vengono effettuati anche sulla cucina, dove utilizziamo detersivi naturali a base d’ortica e acqua ionizzata per la pulizia delle superfici – spiega Valeria, dalla cucina –. Nella preparazione dei piatti utilizziamo i prodotti del territorio: sulla carta l’ospite trova tutte le informazioni sul produttore, così, se gli piace la toma d’alpeggio servita durante il pranzo può andare direttamente dal malgaro a comprarne una forma».
La scelta di materiali, tecnologie e sistemi impiantistici idonei consente di realizzare – o riqualificare – abitazioni a bassissimo consumo energetico che offrono contemporaneamente un elevato comfort termico, il rispetto dell’ambiente e, col tempo, qualche ritorno economico. «In questi ultimi tre anni, la certificazione sta pagando – confessa Marco –. Abbiamo fatto una scelta per noi e i nostri figli, per l’ambiente e per i nostri ospiti che così hanno la garanzia di trascorrere la vacanza in una struttura in cui si realizza un impegno concreto nei confronti delle problematiche ecologiche, economiche e socio-culturali del territorio. Svizzeri, tedeschi e austriaci che frequentano la Val Maira e la nostra locanda ci scelgono anche per questo: abbiamo intrapreso questa strada per ragioni etiche, ma anche per motivi d’immagine, perché essere un ClimaHotel fa la differenza».
La casa nel bosco
Casa Payer è una cascina di pietra ristrutturata con la passione per la bioedilizia. Qui, a 550 metri di altitudine, nei boschi sopra Luserna San Giovanni, Paola Sandroni e Luca Ferrero Regis, insieme alla figlia Gaia, sperimentano un rapporto diverso con la natura e invitano i loro ospiti a fare lo stesso, riappropriandosi della magia e della bellezza dei paesaggi e dei rilievi della Val Pellice.
«Casa Payer è frutto di un grosso progetto, durato più di un anno e mezzo – racconta Luca –. La struttura era immersa nel bosco, ma la muratura era in buono stato: abbiamo lavorato a un attento rilievo della casa, dalle fondamenta al tetto, per poi dedicarci alla ricerca dei materiali per la ristrutturazione. Dopo diverse ricerche in zona, siamo arrivati a uno storico calcificio di Piasco che ci ha riforniti della calce e del cocciopesto, utilizzati per gli intonaci. Per il legname ci siamo affidati a una segheria di Villar Pellice, che ci ha riforniti di legno di castagno proveniente dalla Val Pellice».
La struttura è stata recuperata guardando alle case in terra cruda indiane, che Paola e Luca hanno avuto modo di conoscere e ammirare nella loro lunga permanenza in India. Per essere ancora più leggeri con l’ambiente sfruttano il calore del sole, l’isolante vegetale, la legna del bosco e l’acqua piovana, raccolta in ampi serbatoi adiacenti alla struttura.
«Casa Payer è un esempio di quella che definisco bioedilizia gandhiana: un approccio alla portata di tutti – continua Luca –. Servono prezzi abbordabili, perché non tutti possono permettersi gli arredi del marchio blasonato e la bioedilizia ha senso se la adottano in tanti: l’impatto sull’ambiente diminuisce solamente se diverse persone fanno una certa scelta. Ci piace pensare questa struttura come una casa dimostrativa, perché realizzandola abbiamo cercato di adottare tecniche e materiali acquistabili da chiunque decida di impegnare un capitale in una ristrutturazione convenzionale».
Puntare sul territorio
In Frazione Castel del Bosco di Roure, in Val Chisone, Danila Bertalot e le sue sorelle invitano gli ospiti a prendere le distanze dalla vita frenetica, rilassandosi senza isolarsi. La casa vacanze La Peiro Douço era un tempo un vecchio mulino per la cernita del talco proveniente dalle miniere della zona: qui il minerale veniva raccolto e immagazzinato, per poi essere trasportato fino a Briançon.
«Proprio da qui deriva il nome della nostra struttura, che significa “la pietra dolce”, un altro modo di chiamare il talco – spiega Danila, dalle accoglienti stanze della sua casa vacanze –. Nella ristrutturazione abbiamo cercato di recuperare tutto ciò che era tipico dell’antica costruzione, mantenendo le pietre o, quando necessario, tirandole fuori. L’arredamento degli interni è stato affidato a una ditta di Salbertrand e a un falegname della zona che hanno recuperato e utilizzato materiale locale secondo la tradizione senza mai trascurare la tecnologia: sul tetto della struttura abbiamo installato dei pannelli solari e fotovoltaici che compensano, in maniera pulita e silenziosa, il problema delle fonti energetiche».
Daria Rabbia