Achille Giovanni Cagna, Alpinisti ciabattoni, Baldini&Castoldi, Milano, 2000.

Chi non ha conosciuto sor Gaudenzio Gibella e la su consorte Martina? Per chi proprio non avesse avuto la fortuna di incontrarli, sono i due protagonisti delle divertenti vicende raccontate da Achille Giovanni Cagna in “Alpinisti ciabattoni” nel 1888. I coniugi Gibella, droghieri di Sannazzaro, decidono di concedersi una vacanza sul lago d’Orta. Una volta arrivati, e alloggiati alla pensione, si intuisce che non si tratta tanto di un viaggio di piacere, ma di un allinearsi ai costumi che convengono alla loro posizione sociale. Infatti una volta sul posto non sembrano minimamente coinvolti dalle bellezze che li circondano.
«I Gibella dalla finestra pigliavano l’aria fresca senza pensiero del ridente panorama che
sfavillava svolgendosi in una gamma trionfale di colori».
Ovviamente decidono di recarsi al Sacro monte, ma anche lì, una volta arrivati, arrancando in cima, «la signora Martina, stanca, sudata, si era buttata sopra uno dei sedili del belvedere, voltando le spalle al panorama ed al sole molesto». Si trovavano in posti di cui tutti cantavano le meraviglie ma «com’è che si annoiavano scelleratamente, così da parergli cento anni che erano lontani dalla loro casetta?».
Il fatto è che si sono sì spostati da casa, ma non sono disposti ad entrare in contatto con dei luoghi nuovi, diversi dalla casa stessa; non sono disposti ad abbandonare i loro schemi mentali per vedere veramente e apprezzare ciò che li circonda. Così scappando da noie e fastidi, passando da una colazione a una cena per ammazzare il tempo («E adess cosa se fa? … Martina… Em de fa colezion?») si ritrovano a Pella dove incontreranno il professor Augustini in vacanza con il figlio Carlino. Il professore è il personaggio che fa da contraltare ai coniugi Gibella: «In meno di una settimana, era già conosciuto da tutti i rivieraschi e i montanari del dintorno». Augustini era entrato in relazione con il luogo e con le persone, e ogni giorno con il suo Carlino faceva delle gite che lo portavano a esplorare e scoprire nuovi posti. Si arriva ora all’episodio culminante delle vacanze dei poveri Gibella: Martina «si ricordò che ella era venuta via da Sannazzaro con l’uzzolo di bere il latte fresco, appena munto, nelle capanne montanine […] Le sue conoscenze, le sue amiche, che erano state a Oropa e a Graglia, l’avevano incantata con la descrizione delle merende fatte sugli alpi». E così Gaudenzio e Martina si incamminano per quella che avrebbe dovuto essere una banale e breve passeggiata: «Il programma era questo: andare comodamente sino all’alpe, calcolando di arrivarci per le tre: bere un paio di scodelle di buon latte, fare un po’ di sosta, e ridiscendere poscia per la stessa strada». La passeggiata diverrà invece un vero itinerario interiore, quasi di petrarchesca memoria… se non fosse per le situazioni ben più ridicole. Gli ostacoli si affollano sul percorso dei coniugi, il sole non dà tregua finché non temono prima di essersi persi e poi di essere finiti in mano a un malintenzionato. Tutto sembra poter avere una soluzione positiva quando un colpo di fortuna fa trovare sulla strada dei due sventurati coniugi il professor Augustina: Gaudenzio e Martina, però, anziché chiedere indicazioni per arrivare alla loro meta, scelgono la soluzione più comoda facendosi riaccompagnare a valle. I due perdono così l’ultima occasione di liberarsi dai loro schemi mentali e rifuggono verso casa. Il ritorno al guscio è preceduto da una notte di tormenti sia fisici che psichici nella quale il solo Gaudenzio fa qualche passo avanti nella sua formazione, anche complice il venire a galla di rimorsi per una brutta storia: avevano cacciato la morosa del loro figlio Leopoldo che sarebbe poi morta di parto, rifiutando di riconoscere come nipote quello che era evidente figlio di loro figlio. Gaudenzio forse inizia a pensare che a vedere solo ciò che si vuole alla fine c’è da perdere…
Beh, proprio sicuri di non conoscere nessun “Gibella”? O forse anche a noi a volte capita di essere un po’ Gibella quando saliamo in montagna con il cronometro in mano per toccare una punta e dire di esserci stati, quando cerchiamo il posto con scritto “tipico”, così siamo sicuri che è quello giusto, quando cerchiamo cartoline invece di luoghi?
Luca Serenthà