Il mondo dei “biker” è assai variegato, si passa dal cicloturista da strada “bianca”, ai velocisti del downhill, nel mezzo sta un mondo variegato di praticanti, spesso con vari approcci, stili e comportamenti, ora amplificato a dismisura con l’avvento delle biciclette elettriche che ormai rappresentano una larga fetta del mercato.

L’abbattimento della barriera della fatica, consentito dalla bici a motore, ha aperto la possibilità di affrontare salite impensabili sino a pochi anni fa. Con la diffusione dell’e-bike il nuovo “Eldorado” della montagna passa attraverso le due ruote. Un perverso incantesimo, una rincorsa a modificare in modo irreversibile antiche vie dove far combaciare il tempo libero con quello del consumo. La moda dell’e-bike, che può ragionevolmente essere un ottimo sistema di trasporto alternativo all’auto su strada, diventa acido corrosivo quando forzatamente pretende di andare ovunque, specie su sentieri esistenti rimodellati per il passaggio delle due ruote. Questo significa rinunciare completamente ad accogliere i nostri limiti, senza accettare la meravigliosa imperfezione di sentieri, rocce, boschi e pascoli, perdendo la possibilità di trovare un senso, relazioni ed esperienza autentica con le nostre montagne. Ciò nonostante nuovi vandali un po’ ovunque sulle Alpi siano pronti a sacrificare il patrimonio incalcolabile rappresentato da sentieri e mulattiere storiche per la nuova mobilità “green” da offrire al turista su due ruote. Senza considerare che far confluire ciclisti con pedoni non può che generare conflitti.

I promotori delle “ciclovie”, che cannibalizzano gli antichi tracciati, sono spesso gli stessi abitanti, obnubilati da una cultura massificante, che non sanno più riconoscere i propri luoghi, incapaci di vedere l’unicità e valore di questi spazi e di prendersene cura preservandone l’identità. Per scassare l’impervio e livellare le asperità del sentiero è previsto l’impiego sistematico di miniescavatori; così, in pochi istanti, la lentezza con cui pietre, muschi, terra e radici si sono incastrati perfettamente uno nell’altro, viene dissolta. Un sacrificio banalizzante, che conferma quanto poco ci vuole per cancellare natura e cultura, oltre a produrre nuovi paesaggi davvero brutti. Non bastano centinaia di chilometri di strade e stradine già esistenti per convogliare le biciclette in montagna? Le agro-silvo-pastorali? Le rotabili di servizio a seconde case, a mille infrastrutture esistenti in quota? Non sono più adatte ai “biker” intenditori le tracce secondarie invase dal bosco a media quota? Con interventi utili alla guida su due ruote da condursi prevalentemente a mano? E gli enormi spazi già modificati delle piste da sci non possono ospitare tracciati sterminati per ogni categoria di ciclisti?

Lasciamo in pace le antiche vie.

Michele Comi