Alberto Paleari, “L’altro lato del Paradiso, cinquant’anni in Valgrande”, 208 pagine, € 22,90
Quando gli viene proposto di scrivere un libro sulla Valgrande – un impervio frammento di terra tra il Lago Maggiore e le montagne ossolane – Alberto Paleari, guida alpina e scrittore, si stupisce e afferma che, pur essendo nativo di un paese poco distante, ci era stato troppo poco per poterne parlare. Solo ripensandoci, ammette che pur rappresentando “una fetta dimenticata, piccola” della “grande torta alpinistica” della sua vita, la Valgrande era stata nondimeno luogo importante di ricordi, traversate, incontri, vie aperte e riflessioni. Per raccontarla, decide quindi di partire dall’inizio, dai primi abboccamenti adolescenziali: allora, negli anni ’60, la valle era ormai quasi inaccessibile e, soprattutto, dimenticata.
Lo spopolamento, la scomparsa della civiltà agropastorale, la fine dell’industria idroelettrica e di quella boschiva avevano sancito la fine della presenza umana in valle. A bassa quota il prodigioso boom economico e lo sviluppo della società dei consumi mal convivevano con i ricordi che la Valgrande inevitabilmente portava con sé: il lavoro spossante, la miseria, la crudeltà della guerra. Per diverso tempo la valle venne quindi abbandonata e ignorata, divenendo meta di estemporanee esplorazioni da parte di pochi camminatori e alpinisti dei dintorni. Tra questi vi era il giovane Alberto che inizierà allora a intrattenere con la Valgrande una relazione scostante ma duratura, ricca di memorie, personaggi ed eventi raccontati e raccolti in questo L’altro lato del paradiso.
Dalla traversata psichedelica compiuta nei dintorni del ’68 al tentato attraversamento del sentiero Bove del 2018, l’autore ci conduce dentro i bivacchi spartani e, davanti a una scodella di minestra liofilizzata, ci parla dell’amore di Angela e Michele della Faiera, racconta emozionato il feroce rastrellamento nazifascista del 1944, descrive i saggi quindi perdenti (forse fratelli dei “beati e battuti” di Kerouac e Ginsberg) che decisero di legare la loro vita a quei sentieri ostili proprio quando il resto del mondo gli suggeriva strade più comode e più affollate. Paleari non dimentica però di portarci su una cima, in alto, per osservare il presente e indovinare il futuro della montagna. In questo senso, particolarmente fecondo è il capitolo che tratta della transizione “dalla transumanza al turismo di guerra”. Prendendo le mosse dalla critica alle grandi opere che minacciano il paesaggio alpino, l’autore indaga il rapporto tra città e montagna e affronta di petto il tema del consenso verso tali opere dei tanti montanari. Un consenso figlio della inconsapevolezza del fatto che “per loro il miglior modo di fare turismo sia avere cura dell’ambiente e degli ospiti, cioè dei cittadini che come me non vogliono cave, impianti sciistici, eccetera, ma solo un soggiorno tranquillo che non riproduca la vita usuale della città e consenta una vacanza rigenerante nella natura e alla scoperta del mondo contadino e della sua cultura”. Parole che evocano quanto Amé Gorret, prete ribelle dell’Ottocento, scrisse riguardo al “viaggiatore che parte per la montagna (…) perché cerca la montagna, e dunque rimarrebbe assai contrariato se vi ritrovasse la città che ha appena lasciato”. Qui la Valgrande delinea un’ipotesi diversa, un andare in direzione ostinata e contraria rispetto all’arrogante spirito dell’epoca. Essa infatti è a oggi il più piccolo e il più giovane tra i parchi nazionali italiani, ed è rimasta finora estranea all’industria del turismo di massa. Un vuoto di attrazioni, impianti, svaghi che è, al tempo stesso, un pieno di natura e di tracce del mondo contadino e montanaro. Il recupero di questo pieno (di bellezza, di memoria, di senso) può rappresentare un ponte tra il passato e un possibile futuro, prefigurando un rapporto nuovo, equilibrato e rispettoso tra il territorio e l’umano.
“Non abbiamo bisogno di retoriche inaugurazioni e di tombali tagli di nastri, ma di pulire i prati, regolare i boschi, ripristinare i sentieri, tagliare l’erba, tirar su i muretti, rifare i tetti, mettere a posto, aver cura, tener da conto, far funzionare, rendere agibile e fruibile l’immenso patrimonio che già possediamo…”. E con queste parole Paleari, fabbricante di smarrimenti per vocazione, indica a chi vuole scoprire la Valgrande e la montagna alcuni sentieri per non perdere la direzione di marcia.
Alyosha Matella