Oggi il sudore delle popolazioni di montagna del passato pesa come un macigno sulle nostre spalle di “montanari”. Mi sembra che in questo periodo stiamo sprecando i sacrifici dei nostri avi, le vite tribolate, le loro ingegnose soluzioni, i saperi tramandati da secoli, le liti e le feste che li hanno uniti con un denominatore comune: “insieme per la sopravvivenza”. Noi sappiamo che gli antichi saperi e lo spirito di comunità sono stati alla base dell’istinto di sopravvivenza delle genti di montagna nei secoli, che questo gli permetteva di vivere in autarchia per lunghi periodi. Non era l’amicizia a tenerli uniti ma la necessità. Il benessere di oggi ci ha permesso di vivere senza aver bisogno l’uno dell’altro e ci ha fatto dimenticare i valori di comunità. Adesso ci ritroviamo a dover affrontare un momento pesantissimo, il più difficile in termini di perdite economiche per il settore turistico, dal dopoguerra ad oggi. Sono convinto che noi gente di montagna (forse grazie anche a qualche gene un po’ addormentato ma ancora esistente nel nostro dna) potremo iniziare a svegliarci e a capire che è il momento di mettere da parte i dissapori. Dobbiamo unirci per proporre un’economia che potrebbe salvarci da questa crisi economica, che altrimenti nella migliore delle ipotesi ci renderà ancora più schiavi delle grandi multinazionali e delle lobby ormai planetarie, le quali per fare i loro grandi interessi spesso ci opprimono. Mio nonno 60 anni fa sacrificò le sue amicizie, le ore di sonno e la salute per lottare contro una grande multinazionale che allagò la sua valle con una diga per la produzione di energia elettrica, lasciando poche briciole di ricompensa ai suoi abitanti. Non voleva fermare quel progetto, chiedeva solo ciò che oggi chiameremmo “compensazioni”. Non riuscì ad ottenerle, ma lasciò in eredità la sua esperienza e il suo spirito critico che gli permisero di avere la lungimiranza e la giusta visione del futuro anche quando tutti andavano nella direzione opposta. A distanza di anni la storia ormai gli dà ragione. Io non lo conobbi, ma il suo spirito, insieme a quello di mia nonna, si sono conservati tutti questi anni grazie a mia mamma, che me li fece vivere intensamente per trasmetterne un pezzetto anche a me e ai miei fratelli. Ora tocca a noi, e questo è il nostro momento. Non lo so se saremo all’altezza ma ci proveremo lo stesso, come il nonno, a costo di perdere amicizie, ore di sonno e salute.
Sì, perché è arrivato nuovamente il momento di unirci per necessità. Sappiamo che abbiamo delle possibilità e delle risorse che possono permettere a noi e alle generazioni future di vivere in montagna in maniera decente. Quasi tutti i settori economici negli ultimi anni hanno subito un processo di trasformazione che con l’avvento della meccanizzazione, della globalizzazione, dei grandi monopoli sovra-statali, delle potenti multinazionali, hanno decimato la forza lavoro e soffocato la micro e piccola imprenditoria. Provo a fare alcuni esempi. Il commercio al dettaglio ha subito il suo primo duro colpo con l’arrivo dei centri commerciali che offrendo beni e servizi a bassi costi è riuscito a mettere in ginocchio i piccoli commercianti, attraendo il consumatore con prezzi più bassi facendolo spendere alla fine più di prima, promuovendo beni di consumo perfettamente inutili o poco significativi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la perdita di un’economia circolare importantissima e l’impoverimento del tessuto sociale, soprattutto nelle comunità più piccole. I lavoratori inoltre hanno subito un’ulteriore alienazione, andando a lavorare in posti in cui il capitale umano è tanto più importante quanto è meglio standardizzato; inoltre si è ridotta globalmente la forza lavoro (anche a causa della meccanizzazione spinta). Si dice che un centro commerciale, per lo stesso volume di affari, necessita all’incirca della metà del personale che avrebbero occupato i negozi tradizionali. Il meccanismo inoltre si sta moltiplicando con l’avvento dell’e-commerce, e soprattutto con il monopolio di Amazon. Dagli studi fatti sembra che un centro commerciale riesce a dimezzare la forza lavoro (il capitale umano), mentre Amazon lo decima: 1 lavoratore Amazon svolge le funzioni di 10 bottegai. In questo modo si ottiene l’effetto di accumulare tutta la ricchezza in surplus nelle mani dei pochi soci della multinazionale americana.

La globalizzazione del turismo
Gli studiosi di questi processi fino a poco tempo fa tendevano a ritenere che il turismo fosse dispensato, o comunque marginalmente coinvolto da questo sistema, poiché si riteneva che nell’accoglienza le persone non potessero essere sostituite dalle macchine e i luoghi non potessero essere visitati solo virtualmente. Ma adesso qualcosa sta cambiando…
Stiamo assistendo alla distruzione del turismo come lo intendiamo noi. In questi ultimi anni, un tema molto dibattuto durante i convegni organizzati dal settore turistico è stato la perdita sempre maggiore del margine di guadagno delle imprese turistiche, dovuto all’aumento spropositato delle commissioni richieste dai grandi intermediari (Bookink.com, Expedia, Google, AirB&B su tutti). Inizialmente erano apparsi come angeli salvatori per le località più remote, ma in poco tempo – assorbendo tutti i loro concorrenti più piccoli- hanno creato un cartello e si sono trasformati in strozzini, dettando le loro regole in maniera perentoria ai loro partner, i quali trovandosi frammentati, non hanno avuto più nessun potere di contrattazione con queste grandi multinazionali. Oltre al settore ricettivo in breve tempo le major si sono organizzate per il settore della ristorazione (The Fork di  Tripadvisor), illudendo i ristoratori con un aumento del fatturato, ma presto il tutto si è trasformato in una schiavitù di attività che non riescono a fare a meno di questi intermediari, strettamente in affari con Google, perché altrimenti le escludono dal mercato.
E se per il commercio l’evoluzione di questi processi deleteri per le comunità è aumentata passando dai centri commerciali ad Amazon, nel settore della ristorazione sta avvenendo il passaggio dalla dipendenza di The Fork al cibo d’asporto e al delivery, disumanizzando ciò che un tempo era importantissimo a livello sociale e banalizzando il settore ad uno scambio di cibo puramente consumistico. Tutti questi processi disumanizzanti, che allontanano ancora di più le persone anche nel comparto turistico, vengono conditi e drogati dal sistema dei “commenti”, proprio quello che ci piace tanto, capace di far alzare la tensione sociale facendo sfogare le persone in maniera esagerata, le stesse che in un faccia a faccia non si permetterebbero mai di dire certe cose. E la guerra dei poveri è sempre centrale in questo processo di trasformazione economica, perché ci distrae dal vero nemico.

L’assalto delle major
Adesso ho ancora un passaggio importante da raccontare, esso è molto recente ed è ancora più dipendente da questa situazione di crisi sanitaria continua. Non è ancora stato studiato dagli esperti ma per noi che lo viviamo è abbastanza chiaro. Ormai da tutte le parti iniziano ad arrivare i messaggi sull’importanza del cambiamento delle nostre abitudini che già erano negativamente compromesse a livello sociale ma con queste nuove regole iniziano ad essere contro natura. Tradotto: socialità reale sostituita da quella virtuale con i social network, le piattaforme di videoconferenze, gli scambi continui tramite e-mail, il lavoro da casa, ecc. Questo cambiamento delle nostre abitudini, professato a rete unificate in questi giorni dai media, per il settore turistico implica una cosa sola: smantellare un sistema ricettivo che offre alla gente la possibilità di andare in vacanza non solo per visitare un luogo ma soprattutto per incontrare persone e conoscere i loro usi e costumi. Il mio lavoro è stato in questi 20 anni improntato sull’importanza dell’interazione tra comunità ospitante (gestori di attività ricettive, autoctoni, agricoltori, ecc.) e ospiti. Adesso mi ritrovo ad affrontare una situazione per me agghiacciante. Ci sono già importanti attività ricettive classiche (fornitori di posti letto caldi) che hanno deciso di trasformarsi in appartamenti e che diventeranno presto appartamenti vacanze o nella peggiore ipotesi saranno venduti come seconde case. Non nascondo che quest’idea è venuta in mente anche a me, quando ho iniziato a capire che questa situazione non è così passeggera.
Dicono che chi vuole sopravvivere si deve adattare e quindi gli operatori del settore si stanno organizzando per il cibo da asporto, l’e-commerce, gli appartamenti al posto delle camere di hotel o B&B, ecc. Si prospetta un modello che vede appartamenti diffusi e ristoranti con cibo da asporto da portare direttamente a domicilio. Un nuovo modello sempre ben ancorato alla disumanizzazione che (finalmente!) vede anche nel settore turistico la possibilità di diminuire il personale e renderlo sempre meno importante sotto il profilo delle specificità. Come per gli altri settori anche in questo diventerebbe molto più importante appoggiarsi a un sistema organizzato, standardizzato di vendita e commercio online. Ci sono piattaforme già pronte e multinazionali felici di approfittare di questa situazione per monopolizzare anche il settore turistico. Sarebbe molto più semplice, per un investitore esterno, gestire un settore standardizzato in cui la reale differenza verrà fatta dal miglior sistema di gestione organizzativo (piattaforma digitale). Non dobbiamo permettere che ciò avvenga.
Ho passato la vita a dire che in montagna può esistere un’altra economia oltre a quella di massa dello sci e lo professiamo tutti i giorni, per esempio in Valpelline, dove viviamo senza impianti di risalita con il successo crescente di un turismo dolce. Questo perché sono convinto che dobbiamo prepararci alla crisi dello sci, proponendo validi modelli economici alternativi. Tutt’altra cosa è pensare che si possa fermare un’economia di turismo dolce nascente, così, dalla sera alla mattina, senza sconvolgere un mondo montano da essa dipendente.
In questo momento in montagna non esiste nessun’altra alternativa economicamente importante come quella dello sci da discesa. Quindi è importante mettere in discussione la monocultura dello sci, promuovendo il turismo dolce, quanto riaprire gli impianti al più presto. Non possiamo permetterci di dividerci di fronte ad un nemico molto più grande e forte di noi, che vuole guadagnare sulle nostre spalle rendendoci “sudditi”. I montanari, con o senza impianti di risalita, devono agire in fretta e insieme per non fare soccombere il turismo fondato sulla ricettività calda ed umana, peculiare ed unica. La ristorazione dei prodotti locali, capace di fare conoscere gli agricoltori che con pazienza e sacrificio coltivano una terra difficile ma sana.
Per me è fondamentale capire quante persone hanno questa visione globale delle cose, perché il mio tempo preferirei passarlo con chi è convinto che la differenza la faremo solo rendendoci conto che è il sistema mondiale ad essere malato e i nostri comportamenti, di vita quotidiana o politici a tutti i livelli, non possono prescindere da quest’analisi. Credo che il cambiamento lo potremo ipotizzare con un pensiero che si discosti e si contrapponga sempre di più dall’ideologia corrente sostenuta dalle grandi multinazionali, che stanno gongolando in questo sistema neo-liberista globale, in cui gli stati e l’Europa stanno purtroppo perdendo la capacità di risposta, se non addirittura la sovranità. Solo la politica potrà riprendere in mano le redini del gioco. Noi però dobbiamo condizionare la politica. Non sarà di sicuro il mercato a riportarci sulla retta via. Se aspiriamo a una vita migliore dobbiamo mettere in dubbio un sistema globale e rivedere anche tante nostre convinzioni, litigare con gli amici e rischiare a volte l’emarginazione.
Io personalmente, e come me tanto altri, ho molta fretta di agire perché mi rendo conto che la mia attività non possa reggere ancora a lungo senza economia reale. In attesa degli ospiti stiamo prolungando questa agonia indebitandoci con:
– lo stato (sospensione delle tasse che saranno rateizzate o finanziamenti a tasso agevolato promossi da stato e regione)
– i fornitori (sospensione bollette elettriche, gas, assicurazioni, ecc), le banche (sospensione delle rate dei mutui)
– amici e familiari.
Per quanto riguarda i famosi ristori tanto sbandierati, si tratta solo di circa il 10% del fatturato perso, e non riescono neanche a supportare le spese fisse da sostenere per mantenere l’attività chiusa. Tutti noi stiamo cercando di organizzarci al meglio per non cedere al fallimento, alla vendita o all’adattamento a questo mercato globale che non ci appartiene. Oggi lavoratori, imprenditori, montanari, intellettuali e tanti altri amici della montagna devono confrontarsi per realizzare una sorta di manifesto che li veda protagonisti delle loro scelte. Per provare a recuperare quello spirito di comunità che la necessità di sopravvivenza ha da sempre forgiato nelle genti delle terre alte. Perché le comunità di montagna, anche se piccole, possono fare la differenza. E piccolo non vuole dire sicuramente insignificante e inutile.
Daniele Pieiller