Nel 1963 il fotoreporter statunitense Clemens Kalischer visitò la Valle Grana, fazzoletto alpino pizzicato tra le Cozie e le Marittime, all’alba di un’inesorabile rarefazione delle sue comunità. Seppe cogliere i tratti essenziali di un sistema sociale che andava disgregandosi, cristallizzandoli in immagini di grande suggestione. Quel lavoro fu al centro di una storia rocambolesca.
Al ritorno negli Stati Uniti, il fotografo sottopose l’intero reportage alla prestigiosa rivista “Life”. La testata espresse immediato interesse a pubblicare il lavoro e chiese a Kalischer di corredarlo di informazioni precise dal punto di vista geografico. L’autore a questo punto si fermò. Spaventato dall’idea di contribuire alla distruzione di un luogo ancora pulito e non deformato, non volle rivelare come raggiungerlo. Per oltre trent’anni le fotografie furono riposte in un cassetto senza che nessuno avesse conoscenza di quell’opera.
Un giorno una pittrice gli raccontò che sua figlia stava per sposarsi in Italia, in un luogo sperduto nel Nord, di cui mai nessuno aveva sentito parlare. Quel luogo era Cuneo. Clemens sobbalzo. Tirò fuori dal suo archivio le fotografie. Il collegamento fortunoso diede la possibilità di far riemergere una testimonianza preziosa. Qualche mese dopo fu organizzata la prima mostra ad opera del Museo Nazionale della Montagna di Torino.

Oltre cinquant’anni dopo quegli scatti, l’Associazione Culturale Contardo Ferrini di Caraglio ha voluto tornare negli stessi luoghi per indagare l’ambiente e i momenti di vita quotidiana.
Obiettivo del gruppo di lavoro, formato da Erica Liffredo, Raffaella Simonetti, Luca Prestia e dal sottoscritto è quello di restituire una dignità alla narrazione contemporanea. Un compito che va considerato un’urgenza culturale per almeno tre motivi, tutti legati al valore del tempo.
Il primo. La necessità di maturare un senso critico nei confronti del passato, ridimensionando l’aura nostalgica che aleggia intorno una parte delle riflessioni sul mondo alpino. Una “sindrome da specchietto retrovisore” che non è amica dell’obiettività.
Il secondo. L’esigenza di identificare un presente, conferendo ad esso dei significati. Le comunità che vivono il margine hanno il diritto di essere raccontate. Un’azione concreta, in apparenza banale, ma comunque utile al recupero di una consapevolezza condivisa e a scongiurare una sorta di invisibilità collettiva.
Il terzo. Un pungolo a immaginare futuri possibili. Accorgersi che esistono nuovi modelli di vita in montagna aiuta a guardare con un po’ di fiducia oltre l’orizzonte della consuetudine.
Per raggiungere lo scopo è stato indetto in primavera un concorso per giovani fotoreporter dai 18 ai 30 anni, veicolato attraverso vari forum e siti internet di settore.
La risposta è stata superiore alle aspettative e una prima scrematura ha ridotto a cinque la lista dei finalisti. Questi ultimi hanno potuto organizzare individualmente il loro reportage durante i mesi estivi. A inizio settembre è stata proclamata vincitrice la milanese Chiara Marrabello.
“La Valle (Ri)trovata” è ora un libro (edizioni L’Araba Fenice) e una mostra, ospitata fino al 10 dicembre al Filatoio di Caraglio.
Il percorso espositivo conduce alla scoperta della produzione inedita del progetto e crea un significativo colloquio con gli scatti dello storico servizio di Clemens Kalischer, messi a disposizione dal Museo Nazionale della Montagna.
L’Associazione Contardo Ferrini consegna alla Valle Grana un prodotto che guarda al presente e al futuro, come emerge anche dal video-documentario realizzato da Erica Liffredo a conclusione dell’operazione culturale.
Il filmato mette a confronto generazioni diverse del territorio, restituendo il racconto onesto di una valle che non ha chiuso definitivamente i conti con lo spopolamento ma che tuttavia non è riserva indiana e sa dimostrarsi protettiva nei confronti di chi ricerca una certa dimensione di vita.
Giorgio Ariaudo