È in un’assolata e ventosa giornata di marzo, assieme ad alcuni amici, che finalmente, dopo mesi di attesa, vado in Valtellina ad incontrare e intervistare alcune persone che hanno dato vita, con entusiasmo, impegno e solida amicizia, ad un progetto molto interessante e per certi versi unico nel panorama alpino italiano, volto al recupero e alla coltura di antiche varietà orticole e cerealicole rustiche. Risaliamo la Val Camonica e, scollinando il Passo dell’Aprica, raggiungiamo Teglio, nella media Valle. Qui vivono due belle persone, di cui avevo sentito più volte parlare e che avevo conosciuto personalmente al Forum Alpinum organizzato nel 2014 dall’Università della Montagna di Edolo: sono Patrizio Mazzucchelli e Greta Roganti, che nel 2011 hanno fondato una piccola azienda agricola certificata biologica chiamata Raethia Biodiversità Alpine, incentrata sulla coltivazione di varietà valtellinesi e in genere alpine, in collaborazione con la Fondazione svizzera Pro Specie Rara.

Né Patrizio né Greta sono però di Teglio. Il primo è originario di Lovere, in provincia di Bergamo. A cinque anni si trasferisce con la famiglia a Milano, dove trascorre la prima parte della sua vita e svolge la professione di restauratore. Nell’89 è la volta del trasferimento in Valtellina, dopo la scomparsa del compagno di sua madre, originario proprio di Teglio, dove Patrizio decide di andare a vivere e iniziare a coltivare quei cereali antichi locali di cui il suo ‘secondo papà’ gli aveva a lungo parlato. Greta è invece originaria della svizzera Val Bregaglia, distretto italofono del Canton Grigioni; trascorre a Teglio insieme al compagno Patrizio due giorni a settimana, mentre lavora gli altri cinque a Saint Moritz, dove è nondimeno la chef della più antica e rinomata pasticceria locale. Racconta Patrizio: «Il mio secondo papà era di Teglio, della frazione San Rocco, ed è stato lui a contaminarmi con questa particolare attenzione verso i cereali alpini: segale, orzo, frumento, coltivati sin da tempi antichissimi, cui si sono aggiunti in tempi più recenti grano saraceno e mais, colture che per secoli sono state la base agricola e alimentare delle famiglie contadine. Dagli anni Sessanta in poi, a causa della competizione a perdere con le estensioni cerealicole e la meccanizzazione agricola della pianura lombarda, hanno cominciato a non essere più coltivati. Quando sono arrivato a Teglio, negli anni Novanta, non c’erano che quattro famiglie che per l’autoconsumo coltivavano segale, alla base del pane, e grano saraceno, ingrediente di piatti tipici locali come la polenta taragna, i pizzoccheri, gli sciatt. Tutti cibi che rischiavano di scomparire, ma che la tenacia e l’affezione della gente valtellinese hanno mantenuto anche a fronte del rischio della perdita degli usi alimentari tradizionali causata dalla globalizzazione del gusto». Dal 2000, grazie ad una spiccata sensibilità per i temi legati alla sostenibilità agricola, alla salubrità alimentare e all’importanza della conservazione delle peculiarità dei territori montani, in collaborazione con la Biblioteca Comunale di Teglio e il Centro Tellino di Cultura, Patrizio si impegna a diffondere la conoscenza degli antichi cereali autoctoni e a promuoverne la coltivazione. Lui stesso inizia a coltivarli ed è di esempio per altre famiglie locali: «All’inizio coltivavamo nel complesso circa 7000 metri quadrati. Oggi – dice con orgoglio – abbiamo raggiunto dieci ettari». D’altra parte, a causa della globalizzazione dei mercati e della richiesta, in particolare turistica, di grano saraceno per la preparazione dei piatti tipici, succede che non sia più coltivato in loco, bensì importato da paesi dell’Est europeo, e in Valtellina ci si limiti alla trasformazione e al confezionamento. Il rischio, quindi, di perdere per ibridazione l’ecotipo locale è assai concreto e pressante, e proprio questo motivo, che potrebbe scoraggiare chi invece ha a cuore la tutela della biodiversità, è diventato per Patrizio e per altri giovani attenti e sensibili motore di sfida e rivendicazione di un patrimonio ereditato che non va perduto, ma preservato e valorizzato.

Patrizio e Greta coltivano a partire dagli 800 metri di quota in su, senza fare uso di antiparassitari né di concimi chimici di sintesi. Su campi esposti a sud, di fronte al versante orobico, e quindi votati da secoli a queste coltivazioni, producono grano saraceno e segale valtellinesi, orzo alpino e un po’ di frumento Walser, da cui si ottengono cereali in chicchi e farine, attraverso la macinazione in un mulino locale certificato biologico. In pieno campo vengono inoltre coltivati i fagioli della varietà coccineus e quattro varietà di patate alpine: la precoce “Otto settimanelle”, proveniente dal Canton Grigioni, la “Parli”, coltivata tra la Prettigovia e la Valle di Safien, sempre nel Canton Grigioni, la “Blu di Svezia”, dalla buccia e polpa blu, e la patata “Verrayes”, proveniente dalla Val d’Aosta. In vivaio coltivano ortaggi alpini: cavoli cappuccio, cavoli verza, coste gialle e rosse, pomodori, come i “Thun”, adattatati a climi rigidi e resistenti a malattie e attacchi fungini. A parte la semente valtellinese, recuperata negli anni Novanta da Patrizio presso gli anziani locali, le restanti varietà sono provenienti dalla Fondazione svizzera Pro Specie Rara, che si occupa proprio di salvaguardare razze animali e piante coltivate minacciate dall’estinzione.

A Teglio, Patrizio è stato di ispirazione anche in tempi recenti per alcuni giovani che, sia sul versante retico che su quello orobico, hanno deciso di tornare alla terra per mantenere gli antichi cultivar, nell’ambito dei cereali, della viticoltura, della coltivazione delle patate e degli ortaggi. Racconta Patrizio: «In questi ultimi anni, ho incontrato e iniziato a collaborare con alcuni giovani che vogliono tornare all’agricoltura tenendo conto delle peculiarità della tradizione di cultivar e di tecniche agrarie sostenibili, come le arature poco profonde, le rotazioni delle colture sperimentate per secoli dai nostri avi, che permettono di mantenere fertili i campi senza aggiungere alcunché ad eccezione di compost o letame maturo». E aggiunge, in merito alla competizione con il mercato di scala, proponendo nuove soluzioni per la ripresa dell’agricoltura di montagna: «I nostri prodotti alpini non riescono a mantenere i costi bassi del mercato di larga scala: in montagna il clima dato dall’altitudine, le peculiarità geo-morfologiche del terreno, le variabilità dell’esposizione solare e, non da ultimo, l’estremo frazionamento fondiario non consentono di applicare gli stessi criteri economici e tecnologici delle colture intensive di pianura. In montagna, un’azienda è necessariamente piccola. Per mantenerla in vita e poterci vivere, dunque, la poli-funzionalità è la soluzione, ovvero saper coniugare la coltivazione dei prodotti con la ricettività (bed and breakfast o agriturismo) indirizzata verso il turismo consapevole e sostenibile. Non si tratta più di proporre la montagna, e in particolare la media montagna, come un finto Disneyland, bensì di saperla valorizzare per le sue peculiarità anche agricole e gastronomiche. Il contadino oggi dev’essere informato su quel che produce, deve saper spiegare al turista le caratteristiche delle sue colture, la storia del suo territorio, mostrargli gli itinerari da percorrere, i beni culturali d visitare». Ma come far fronte ai tanti costi che un’azienda agricola deve sostenere, per esempio in relazione ai macchinari da acquistare per la mietitura e la trasformazione dei cereali? «La cosa importante da sapere è che il contadino non può e non deve trovarsi da solo. Se si hanno sensibilità e intenti comuni bisogna unirsi e lavorare insieme. Non si diventerà mai ricchi, però si potrebbe vivere bene, garantendo alcuni caratteri di solidarietà e mutualismo che le società agricole del passato conoscevano bene e che si sono perse con l’industrializzazione e il consumismo. L’atto agricolo deve ritornare ad essere un atto sociale, che permetta, ad esempio, di condividere l’acquisto di macchinari come mietitrebbie, mietileghe, trebbie stanziali che difficilmente un singolo riuscirebbe ad acquistare. Il lavoro manuale che sostenevano le numerose famiglie contadine di un tempo oggi sarebbe troppo faticoso e impossibile da praticare da soli. È necessario, quindi, superare l’individualismo che ha portato l’era dei consumi, fare sistema e mettersi insieme, anche per il piacere di fare cose insieme». E dell’esperienza del giovane gruppo Orto Tellinum, che ha preso le mosse anche grazie all’esempio di Patrizio e Greta, e di tutti i giovani che ruotano attorno a questa bella esperienza fatta di sostenibilità, amicizia e rispetto del territorio parleremo nei prossimi numeri.
Michela Capra

Info: Patrizio Mazzucchelli, 3492641129, https://goo.gl/pXgUiV