Da una ventina d’anni lupi provenienti dall’Italia si aggirano sulle Alpi francesi, e oltre. Se gli amici incondizionati dei lupi si rallegrano per questa situazione, i pastori fanno il muso lungo. Quali sono le conseguenze, in un paesaggio di pascoli, di versanti boscosi, di colline arruffate, in cui l’allevamento di ovini da carne si è sviluppato senza predatori, per mezzo di grandi mandrie transumanti e dello sfruttamento locale dinamico di greggi di ridotta entità?
Nell’autunno del 1992, durante un conteggio di ungulati nel Parco nazionale del Mercantour, i guardaparco osservano due lupi. Questi carnivori scoprono rapidamente la dispensa rappresentata dal transito, lungo percorsi prestabiliti, di quasi un milione di pecore. Da quel momento la popolazione dei predatori inizia ad aumentare, fino ad arrivare a 200 lupi nel 2011. I danni superano 4.000 ovini, per circa 1200 attacchi.


Fig. 1 Variazione su 17 anni in Francia del numero di vittime ovine e del numero di attacchi ufficialmente attribuiti a lupi.

In Francia i lupi sono interamente protetti. Ciò è sancito dalla convenzione di Berna, ratificata nel 1990 prima dalla comparsa dei lupi, e dalla la direttiva “Habitat” del 1992, la quale incoraggia due politiche rivelatesi contraddittorie: la politica di accoglienza del Canis lupus e quella del connubio tra agricoltura e ambiente (agri-environnement) che sostiene la pastorizia. Per ottemperare a queste norme comunitarie, da una parte lo stato francese non interviene nella gestione del lupo, che è quindi libero di muoversi; d’altra parte lo stato tutela gli allevamenti attraverso aiuti finanziari e compensando le perdite.


Fig. 2 Bilancio comunale degli attacchi indennizzati per causa lupo per l’anno 2010.

Questa situazione si evolve quindi a favore dei lupi e a scapito dei pastori, perché tutte le misure raccomandate per proteggere le greggi sono state utilizzate, con alterne fortune. Queste misure si basano su: 1 – il rafforzamento della presenza umana con l’assunzione di aiuto-pastori, 2 – l’uso di cani da guardia, 3 – il raggruppamento di notte nei recinti accanto alla capanna, con a guardia il pastore, il suo aiutante e i cani. Questo dispositivo ha comportato dei cambiamenti sostanziali nei sistemi di allevamento: i cani non sono adatti all’uso polivalente dello spazio, lo stazionamento quotidiano peggiora la salute della mandria, aumenta i percorsi e l’erosione, limita il tempo di pascolo, induce eccessivamente al pascolo di prossimità, favorendo l’abbandono dei pascoli periferici. E il “Piano lupo” ha un costo: 4,4 milioni di euro nel 2006, 7,8 milioni di euro nel 2010 (dati Sénat/Direction régionale de l’Environnement Rhône-Alpes).
Ci sembra che in questo progetto di conservazione del lupo sia stato tralasciato un soggetto: le popolazioni locali. Le rare misure ottenute hanno puntato unicamente a mitigare la tensione sociale. Sul modello della reintroduzione del lupo negli Stati Uniti, è urgente passare dal semplice monitoraggio del predatore alla sua gestione diretta. Nell’Idaho, alcuni lupi si sono dimostrati particolarmente interessati alle mandrie domestiche, mentre altri si sono rivelati più discreti, cibandosi delle abbondanti popolazioni di ungulati selvatici. Per dimostrarlo, gli americani hanno dotato di GPS alcuni individui e hanno quindi prelevato quel 15% di popolazione che creava problemi. In combinazione con colpi non letali, questo intervento ha fatto sì che i lupi di Yellowstone uccidessero 6 volte meno bestiame rispetto ai lupi franco-italiani, pur essendo 5,5 volte più numerosi. Ma in Francia, vent’anni dopo, non è forse già troppo tardi? Qui il lupo non è più considerato a rischio e il suo territorio è in espansione al di là delle Alpi. Ora, il ritorno naturale non gestito ha portato i lupi – probabilmente molto di più del 15% dei lupi – a non avere alcun timore ad avvicinarsi alle attività zootecniche. Di conseguenza, il modello statunitense è ancora adattabile? E in ogni caso, se lo stato francese vuole mantenere i lupi, non dovrebbe forse riconsiderare la sua politica in questo campo?
Marc Vincent