Il conflitto attorno alla possibile apertura degli impianti sciistici di questi giorni riporta il tema della montagna sulle prime pagine dei giornali. Ma con un’interpretazione estremamente parziale. Pur comprendendo la preoccupazione di gestori, amministratori locali e abitanti per il rischio concreto di una perdita di reddito non indifferente, è sconcertante la focalizzazione esclusiva su questo settore della montagna, come se non esistesse altro, senza vie di uscita. Il solo fatto che dalle due settimane a cavallo di fine anno dipenda gran parte della stagione, in termini di presenze e ricavi, evidenzia la forte debolezza del sistema. È bene, inoltre, ricordare che l’industria dello sci sopravvive perché da decenni è per lo più sostenuta con enormi iniezioni di denaro pubblico. I costi di mantenimento di questa pratica stanno lievitando di anno in anno, sia in conseguenza dell’aumento delle temperature dovuto al cambiamento climatico, sia per i costi di messa in sicurezza delle piste, sia per le nuove esigenze di una clientela – peraltro numericamente in declino – oramai abituata a piste larghe come autostrade e lisce come tavoli da biliardo. Il solo innevamento delle piste italiane costa 100 milioni di euro a stagione ed è quasi tutto sostenuto con denaro pubblico.
«Non è facile seguire i finanziamenti che le Regioni elargiscono unicamente per il sostegno degli impianti esistenti”, afferma Vanda Bonardo, presidente CIPRA Italia, “si tratta comunque di diverse centinaia di milioni messi a bilancio per questo scopo. Finanziamenti che se investiti almeno in parte su quelle forme di turismo dolce destinate a crescere nel post-Covid, darebbero ossigeno ai tanti operatori che si stanno cimentando in queste nuove attività e al contempo accrescerebbero le opportunità lavorative».
La montagna ha molto da offrire oltre alle piste da sci. Alle voci delle associazioni sulle molteplici potenzialità del turismo montano, si sono recentemente aggiunte prese di posizione da parte di importanti voci della cultura italiana, senza contare il numero sempre più consistente di esperti e studiosi convinti che oramai si tratti di un prodotto in crisi, con un futuro a rischio.
«In questi anni – conclude Vanda Bonardo – la monocultura dello sci su pista ha mostrato tutta la sua fragilità e il Covid ora potrebbe dare il colpo di grazia. Potrebbe invece essere colto come opportunità per affrontare la via della transizione – ripensando l’offerta turistica invernale, differenziandola, distribuendola su una stagione più lunga. E soprattutto per rinunciare ad insensati e anacronistici progetti di nuovi collegamenti sciistici. A tutto vantaggio dell’ambiente e di un ritrovato rapporto con la natura e del gusto di poterla frequentare anche e soprattutto in un modo più dolce».
Cipra Italia, Torino, 27 novembre 2020